Quando Liverpool e Milano vengono nominate nella stessa frase, è normale che queste due città vengano associate a quelle di Istanbul ed Atene. È normale pensare a quelle due partite che regalarono alla sponda rossonera di San Siro, la più grande delusione della sua storia e l’altrettanto importante rivincita. Molto più complesso, invece, legare i Reds all’altra squadra meneghina. I precedenti sono due. Il più recente è un ricordo infelice che riporta al marzo 2008. La formazione allora allenata da Mancini si arrese proprio agli ottavi contro i vicecampioni d’Europa, scatenando le ire dell’attuale commissario tecnico della nazionale. L’altro è una dolce e lontana rimembranza, alle origini di quella pazzia che contraddistingue l’Inter.
Bisogna tornare indietro al 1965. Un tuffo nel passato, a quando le immagini della televisione erano ancora sprovviste di colorazione. Questo è il periodo della Grande Inter di Helenio Herrera e della filastrocca che alcuni appassionati più anziani ancora cantano ai nipoti. La Beneamata vuole bissare il trionfo in Coppa dei Campioni dell’anno precedente. E per farlo, in semifinale deve superare il Liverpool. Gara d’andata fissata il 4 maggio ad Anfield. Mazzola pareggia il vantaggio iniziale di Hunt, poi gli inglesi tornano sopra con Callaghan e nel secondo tempo St. John chiude il match. La regola dei gol in trasferta, tolta proprio quest’anno, sarebbe stata introdotta nel giro di poco tempo. In quell’edizione, in caso di parità del risultato complessivo, si sarebbe disputato un terzo incontro in campo neutro.
Il 12 maggio, l’Inter è chiamata all’impresa: ribaltare il risultato vincendo con 3 reti di scarto. Passano solo 8 minuti e su un calcio di punizione si presenta Mario Corso. Il colpo per eccellenza del numero 11, la “foglia morta“, si insacca magistralmente in rete, sbloccando la gara. Ed un minuto più tardi, succede l’impensabile. Joaquim Peirò viene lanciato in profondità, ma il portiere avversario Lawrence lo anticipa. Lo spagnolo, caduto nel contrasto, si rialza in fretta, mentre l’estremo difensore avanza sbattendo la sfera a terra. Peirò si avvicina e allunga il piede toccando il pallone. Poi, con la porta sguarnita, lo deposita facilmente in rete. Una giocata di grande astuzia, la quale per molti anni prenderà il nome dell’autore, scatena le vane proteste della difesa inglese e l’entusiasmo del club milanese.
Dopo 10 minuti, il conto è pareggiato. Ma i padroni di casa vogliono terminare la questione la sera stessa. Si arriva dunque al 17′ del secondo tempo. Giacinto Facchetti, il giocatore capace di stravolgere il ruolo del terzino, corre fino all’area di rigore. Qui riceve palla e col destro trafigge per la terza volta Lawrence, regalando alla sua squadra la finale della Coppa dei Campioni. Qui incontrerà un Benfica maledetto, già sconfitto dai cugini rossoneri in passato, che verrà punito da Jair nella seconda di tante finali europee perse.
Oggi, a distanza di 57 anni, la Beneamata ritorna a giocare una fase ad eliminazione diretta nella massima competizione europea che manca da 10. Lo fa contro una formazione capace di laurearsi campione nel 2019 e di battere due volte il Milan attualmente capolista del campionato italiano. L’Inter, che non ha mai avuto un grande feeling con la terra inglese, ha bisogno di una pazza impresa degna della sua storia. Solo così può battere la squadra che non cammina mai da sola.
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