La rosa del Milan è oggettivamente inferiore, come qualità tecnica, a quella di almeno altre tre squadre dell’attuale Serie A: Inter, Juventus e Napoli. In più, a campionato in corso, i rossoneri hanno perso elementi ritenuti fondamentali come Kjaer o Ibrahimovic. Eppure la squadra non ne ha risentito, così come ha saputo sopperire alla situazione, psicologicamente difficile da gestire, di un giocatore (Kessie), già certo dell’addio a metà stagione. A tutto questo è doveroso aggiungere la valorizzazione di giocatori cresciuti in maniera esponenziale sotto la cura Pioli, basti pensare a Tomori o a Leao. La gestione del gruppo, poi, ha un ruolo decisivo per puntare ai livelli più alti. Riuscire a smorzare gli entusiasmi o a stimolare un gruppo demoralizzato dopo un risultato avverso, è una qualità fondamentale per un allenatore. Poi c’è l’aspetto tattico. Il Milan ha una struttura di gioco ben definita, con principi ormai interiorizzati dalla squadra, titolari o meno. Ma l’aspetto più importante è la diversa gestione delle partite a seconda dei momenti e degli avversari. Non si ragiona sul sistema di gioco ma sulle diverse interpretazione dei giocatori. Non più ruoli ma compiti, per cui è facile vedere un esterno basso fare la mezzala, un laterale offensivo diventare un trequartista e un centrale di metà campo muoversi come un attaccante aggiunto.
Inzaghi ha ereditato una squadra che giocava a memoria, aggiungendoci correttivi e idee che hanno reso l’Inter ancora più indecifrabile e di difficile lettura per gli avversari. Vedendo giocare i nerazzurri si notano ancora certe giocate contiane, soprattutto quando recuperano il pallone e ripartono. La ricerca dell’esterno per la punta che viene incontro, con il contemporaneo inserimento in fascia dell’intermedio del lato forte e quello profondo dall’altra parte, sono concetti ripetuti all’infinito durante la gestione precedente, che vengono realizzati in automatico. A tutto questo Inzaghi ha aggiunto una maggiore ricerca del possesso basso per trovare spazio dietro la pressione avversaria. Dando ai suoi giocatori soltanto qualche linea guida, e lasciandoli poi liberi di leggere la situazione e capire quando allontanarsi o avvicinarsi al possessore, l’allenatore nerazzurro ha rivoluzionato l’avvio dell’azione. L’Inter può alzare un braccetto in possesso per guadagnare un uomo a centrocampo, può abbassare Brozovic allargando uno dei centrali in fascia o alzarlo per toglierlo dalla schermatura avversaria, impostare a 3 o a 4, a triangolo o a rombo. Mille combinazioni che vengono scelte di volta in volta da giocatori tatticamente maturi. Per qualcuno ha il limite di non avere un piano b e di sbagliare qualche sostituzione, ingolosito da una rosa che, soprattutto in attacco, non è inferiore a nessuna.
Pioli ha ereditato una squadra quasi allo sbando, dopo il lockdown del 2020, e ha saputo trasformarla in una macchina da punti, nonostante ci fossero oggettivamente squadre più forti. Inzaghi ha ereditato una squadra con una mentalità e un gioco già consolidati. Ha avuto il merito di mantenere quanto di buono fatto dal predecessore aggiungendoci concetti personali. Resta il dubbio, però, di quel periodo nero post derby perso. Un calo di concentrazione che è costato punti che forse verranno rimpianti. Per qualcuno con Conte non sarebbe successo.
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