Scrive il Corriere dello Sport, la sua firma sulla finale è stata l’ultima. Quella che ha certificato il trionfo sulla Germania, che ha fatto esclamare a Pertini “non ci riprendono più” e ha fatto esplodere con qualche minuto d’anticipo sul fischio di Arnaldo César Coelho la festa di un intero Paese. Alessandro Altobelli non ha dimenticato neppure un secondo della notte dell’11 luglio 1982 al Bernabeu: l’ingresso in campo dopo 6′ al posto dell’infortunato Graziani, la rete del 3-0 e la festa tanto attesa.
Altobelli cosa succede se ripensa Italia-Germania 3-1?
«Il cuore accelera anche se di acqua sotto i ponti ne è passata… Quello è stato un Mondiale pazzesco: all’inizio sofferto, ma da un certo punto in poi trionfale. Diciamo che ci siamo vendicati delle critiche e di chi pensava non saremmo andati lontano».
Vi siete sentiti soli contro tutti?
«All’inizio sì: Bearzot, Vicini e Maldini cercavano di “proteggerci” e volevano che pensassimo solo a lavorare, ma isolarsi non era facile. Prima della partenza lavorammo tantissimo dal punto di vista fisico e contro Perù, Polonia e Camerun non eravamo brillanti: le gambe erano un po’ pesanti, ci mancavano le accelerazioni di Conti, gli inserimenti di Oriali e Tardelli e la spinta di Cabrini. Così le formazioni che avevamo davanti finivano per difendersi e poi ripartire senza troppi problemi».
La critica non fu tenera in quei giorni.
«Quasi tutti ci attaccavano e ci vedevano a casa già alla fine del girone o agli ottavi. Entrammo anche in silenzio stampa quando gli attacchi divennero personali, nei confronti di Rossi e Cabrini: ci guardammo negli occhi e capimmo che era la cosa giusta da fare. Da quel momento avrebbero parlato solo Bearzot, Zoff e… il campo».
La scelta si rivelò vincente.
«Se si riferisce ai risultati, poco da dire: battemmo Argentina, Brasile, Polonia e Germania dell’Ovest. Anzi, le asfaltammo con il bel gioco… all’italiana ovvero difesa attenta e contropiede a tremila all’ora. Il successo sull’Argentina ci fece sbloccare dal punto di vista mentale e anche il Brasile, più forte ma più presuntuoso, se ne accorse»
E’ stato il Mondiale di Paolo Rossi, l’ultimo di voi eroi di Spagna ’82 ad andarsene, il 9 dicembre 2020.
«Aveva iniziato con difficoltà perché non trovava la porta. Era reduce dalla squalifica per il calcio scommesse, ma Bearzot non ha mai dubitato: era convinto che si sarebbe liberato del macigno che aveva dentro dopo la prima rete e così è stato».
Anche voi compagni gli avete dato una mano.
«Io ero la sua riserva, ma negli allenamenti oppure dopo cena, cercavo di rincuorarlo, di fargli capire che le cose sarebbero presto girate per il verso giusto. Eravamo un gruppo di uomini veri, di gente che sapeva che un Mondiale si vince solo se non critichi un compagno o non provi in maniera scorretta a soffiargli il posto».
E alla fine Pablito ci ha portati nella storia.
«Ci ha fatto vincere il Mondiale ed è diventato… l’incubo dei brasiliani».
A quarant’anni da quell’impresa, è un peso ancora più insopportabile la prematura scomparsa di Rossi?
«Paolo, Scirea, Bearzot, Vicini e Maldini per noi erano come fratelli o padri. Si era creato un rapporto di grande rispetto e amicizia. E’ brutto che non ci siano più».
Parole che le fanno ancora più onore visto che lei nell’82 con Bearzot non giocava.
«Stavo bene ed ero reduce da un bel campionato e della vittoria della Coppa Italia. Bearzot però aveva le sue idee e così ho lavorato per farmi trovare pronto: sono stato premiato dalla sorte visto che sono entrato in finale e ho segnato il 3-0».
Qual è l’immagine che le viene in mente dei festeggiamenti al Bernabeu?
«Noi sdraiati in campo, esausti, dopo il fischio finale. Eravamo stati un mese lontani da casa, in mezzo alle critiche e senza che nessuno credesse in noi, ma nonostante ciò avevamo ridato all’Italia un trionfo Mondiale che mancava dal 1938. Lo avevamo fatto tutti insieme. Come una vera squadra».
E come una squadra vi siete tolti dei sassolini dalle scarpe…
«In effetti nello spogliatoio ci fu… la resa dei conti e un dirigente federale, che aveva detto cose insensate, fu invitato a uscire perché non era il ben accetto. Non volevamo che salisse sul carro dei vincitori».
In questi giorni la chat di Whatsapp che lei ha creato per gli eroi del 1982 è più attiva del solito?
«No, è attiva tutto l’anno. C’è sempre qualcuno che scrive qualcosa di bello o simpatico, che mette foto dei nostri anni».
Perché voi che avete vinto nel 1982 sembrate essere più nel cuori degli italiani rispetto agli azzurri campioni del mondo nel 2006?
«Per vincere un Mondiale ci vuole sempre un’impresa e anche i ragazzi del 2006 l’hanno fatta. Forse la gente riconosce a noi del 1982 di essere andati oltre i nostri limiti: non era mai successo che una squadra per trionfare dovesse battere l’Argentina di Maradona, Kempes e Passarella, il Brasile di Zico, Falcao e Socrates, la Polonia di Boniek e Smolarek più la Germania dell’Ovest di Rummenigge, Forster e Breitner. E’ stato qualcosa di unico e irripetibile».
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