11 luglio 1982: Italia Mundial contro tutto e tutti

Non c’è cosa più bella che vincere un Campionato del Mondo di calcio da underdog, da sfavoriti. E da underdog la Nazionale italiana ha vinto il Mondiale (anzi, il Mundial) di Spagna ’82.

Uno penserebbe “come può una Nazionale come la nostra, visti storia e prestigio internazionale, non partire con i favori del pronostico per la vittoria di un Mondiale?”. Abbiamo vinto quel Mondiale contro tutto e tutti. Un Mondiale pazzesco, incredibile ed ancora oggi iconico. Un Mondiale che, a distanza di quarant’anni, è ricordato con orgoglio dai giocatori, da chi visse quell’estate e da tutti quelli che nel 1982 erano piccoli o non erano ancora nati ma che ne compresero l’importanza nel tempo.

Per capire meglio la situazione del “giocare da sfavoriti”, c’è da tornare a domenica 23 marzo 1980, una data nefasta per il calcio italiano: quella domenica le macchine delle forze dell’ordine entrarono in alcuni stadi e trassero in arresto calciatori accusati di aver venduto delle partite. Scoppiava il Totonero: un giro di scommesse clandestine che vide giocatori vendere partite, incassare soldi e non mantenere le “promesse” con gli scommettitori (illegali). La sentenza fu uno shock: squadre retrocesse (Lazio e Milan), squadre penalizzate nella stagione successiva (Avellino, Bologna, Perugia in Serie A, Palermo e Taranto in Serie B), ventuno giocatori squalificati, l’allora presidente del Milan, Felice Colombo, radiato.

Cosa entra il Totonero con la Nazionale vincitrice in Spagna? Tra i convocati del Commissario Tecnico Enzo Bearzot ci fu Paolo Rossi, allora in forza alla Juventus e coinvolto nelle indagini del Totonero quando militava nel Perugia e squalificato per due anni, fino all’aprile 1982. Rossi era il volto giovane e pulito del nostro calcio di allora e nessuno credeva che potesse essersi venduto delle partite.

Vista la squalifica di Paolo Rossi, era certo che Bearzot avrebbe convocato Roberto Pruzzo, allora attaccante della Roma e capocannoniere delle ultime due stagioni in Serie A con 33 gol totali. Per non parlare di Evaristo Beccalossi, centrocampista dell’Inter e trascinatore della squadra nerazzurra che in due anni fece l’accoppiata scudetto-Coppa Italia (1980-1981). Eppure Bearzot convocò ugualmente Paolo Rossi tornato in campo solo il 2 maggio 1982 a quarantacinque giorni dall’inizio della kermesse iridata. Rossi era certo della convocazione perché Bearzot era il suo pigmalione e lo stesso Ct friulano credette sempre in lui, quasi a volerlo coccolare.

Nonostante una squadra all’altezza della situazione (con i vari Scirea, Gentile, Conti, Oriali, Tardelli, Graziani e Antognoni), le Nazionali favorite per la vittoria erano altre: il Brasile del futbol bailado di Zico, Socrates, Falcao, Junior, Cerezo e Eder; l’Argentina campione del Mondo in carica e guidata in attacco da un giovane Maradona; la Francia di Platini, Giresse e Tigana; l’Inghilterra del bi-Pallone d’oro Keegan; la Germania Ovest di Rummenigge; la Polonia dei talenti Boniek e Lato.

Nonostante gli azzurri si fossero qualificati senza particolari patemi al Mondiale spagnolo (anche se arrivarono secondi dietro la Jugoslavia in un girone non impegnativo), facevano pensare al peggio i risultati delle amichevoli di avvicinamento di Zoff e soci al Mondiale: due sconfitte (Francia e Germania Est), un pareggio (Svizzera), una vittoria (Braga).

Spagna ’82 è stato il primo Mondiale a 24 squadre: le squadre erano inserite in sei gironi da quattro squadre ciascuno. L’Italia fu inserita nel Girone 1 e disputò le tre partite del girone al “Balaídos” di Vigo, in Galizia. Sul nostro cammino, selezioni abbordabili: Polonia, Perù e Camerun, al debutto mondiale. Ci qualificammo alla seconda fase solo perché in tre partite avevamo fatto un gol in più dei Leoni indomabili.

Già prima dell’inizio del Mondiale la truppa azzurra era stata bersagliata da tantissime critiche e, dopo un girone del genere, alcuni addetti ai lavori scrissero chilometri di inchiostro sulla nostra performance: tutti erano sulla graticola, in particolare Rossi, che in tre partite aveva fatto davvero male, e Bearzot, reo di fare giocare una squadra “catenacciara” con in campo un giocatore fuori forma.

Le dodici Nazionali qualificate alla seconda fase furono inserite in quattro gironi da tre squadre ciascuno: chi vinceva il girone si sarebbe qualificata alle semifinali. Tutti speravano che gli azzurri tornassero a casa alla fine della seconda fase del Mondiale.

L’Italia fu inserita nel girone C, un girone che definire di ferro era un eufemismo: con Brasile e Argentina, due delle…due favorite per la vittoria finale La sentenza dalla nostra Penisola era arrivata ancora prima che iniziassero le partite: eliminazione e tutti a casa. Per rispondere alle critiche, Bearzot fece una cosa che allora non si faceva: tutti in silenzio stampa. Da quel momento nessun giocatore e nessun membro dello staff avrebbe parlato con la stampa se non il solo Zoff in quanto capitano.

Anche in quel caso polemiche a non finire, anche da parte della Figc. Eppure da quel momento successe qualcosa: la nostra Nazionale cambiò registro e contro Argentina e Brasile, al “Sarrìa” di Barcellona, giocò due partite che definire strepitose è riduttivo. L’Argentina cadde il 29 giugno 2-1 con gol di Tardelli e Cabrini (e Passarella) e contro il Brasile, il 5 luglio, l’Italia giocò una partita fantastica: 3-2 con Paolo Rossi autore delle tre reti azzurre. Era dalla tripletta di Angelo Schiavo contro gli Stati Uniti del 27 maggio 1934 che un azzurro non segnava tre reti in una singola partita mondiale.

Il Brasile nelle tre partite del girone aveva segnato 10 reti e ne aveva subite due e aveva schiantato l’Argentina 3-1. In quattro partite, tredici gol fatti e tre subiti eppure cadde sotto i nostri colpi e uscì dal Mondiale tra le lacrime. La partita fu da cardiopalma: vantaggio di Rossi al 5’, pareggio di Socrates al 12’, vantaggio di Rossi al 25’, pareggio di Falcao al 68’, vantaggio di Rossi al 74, gol annullato ad Antognoni all’88’ per fuorigioco.

Rimarranno epici due momenti di quella partita passata alla storia brasiliana come “la tragedia del Sarria”: la stressante marcatura di Gentile su Zico (che uscì dal campo con la maglia strappata) e la parata sulla riga di Zoff su colpo di testa di Oscar al 90’. Se la palla fosse entrata saremmo usciti e la Seleçao sarebbe andata in semifinale. Come volevasi dimostrare, tutte le critiche svanirono in un baleno: la piccola Italia aveva messo ko due grandi Nazionali e, per come giocava, aveva messo paura alle avversarie. Tra i giocatori, dopo giorni grigi, c’era la sicurezza: vinceremo il Mondiale.

In semifinale l’Italia affrontò la Polonia, una delle selezioni allora tra le più temibili priva però di Boniek squalificato e vincemmo 2-0 con doppietta di Paolo Rossi. Rossi divenne “Pablito” e tutto il Mondo parlò di lui e di quella squadra che tra tutte le polemiche e tutte le “gufate” possibili, l’11 luglio 1982, si sarebbe giocata la Coppa del Mondo al “Bernabeu” contro la Germania Ovest.

In un altro contesto, i tedeschi occidentali sarebbero partiti favoriti, ma dopo la seconda fase ad eliminazione diretta gli azzurri si sarebbero giocati il Mondiale quasi alla pari con i campioni d’Europa in carica che in semifinale avevano eliminato la Francia ai calci di rigore: mai prima di allora una partita del Mondiale si era decisa dagli 11 metri. Chi avrebbe vinto quell’11 luglio 1982, avrebbe raggiunto in testo all’albo d’oro il Brasile con tre Mondiali vinti. Nessuno poteva crederci: il sogno mondiale era distante solo 90 minuti. E al 90’, con il triplice fischio dell’arbitro brasiliano Coelho, l’Italia tornava, a distanza di quarantaquattro anni, sul tetto del Mondo.

Quella partita rimane ancora oggi epica, già solo per il fatto che Bearzot, visto l’infortunio di Antognoni, decise di far partire titolare, tra lo stupore di tutti, Giuseppe Bergomi, difensore dell’Inter, 20 anni a dicembre e con sole tre partite giocate prima di allora in Nazionale, di cui da titolare solo la semifinale contro la Polonia per la squalifica di Gentile.

Eppure quell’11 luglio 1982 si partì male: al 24’ fu fischiato rigore agli azzurri per fallo di Briegel in area su Conti. Dal dischetto, Cabrini calciò a lato gettando alle ortiche un’occasione d’oro per passare in vantaggio. In campo e negli spogliatoi i compagni si strinsero intorno al loro compagno per dimostrargli vicinanza e forza. Il primo tempo si chiuse sullo 0-0, ma la ripresa fu tutta azzurra e Paolo Rossi prese ancora i compagni per mano e segnò il gol del vantaggio al minuto 57. Sesto gol al Mondiale, il sesto in quattro partite. L’Italia era in controllo e la Germania Ovest sembrava non impensierire l’avversario. Poi al minuto 69 la svolta: palla da Scirea a Tardelli con il numero 14 che calciò da fuori area verso Schumacher. Gol, 2-0. Iconica la corsa e l’urlo liberatorio di Tardelli e tutti i compagni che lo abbracciarono. Il “gruppo Italia” aveva fatto la differenza: vicini al compagno che aveva sbagliato il rigore, vicini al compagno che li aveva avvicinati alla Coppa del Mondo. Al minuto 81 ci fu gioia anche per Altobelli, entrato al 7’ per l’infortunato Graziani: 3-1. Due minuti dopo, il gol della bandiera tedesco di Breitner che fece 3-1.

Epici sono stati anche gli ultimi secondi di telecronaca di Nando Martellini, entrato nella storia con il: “…siamo quaranta secondi oltre il tempo regolamentare quando attacca Littbarski, palla indietro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finito! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!”

Tripudio azzurro a Madrid in campo e sugli spalti, tripudio azzurro nelle piazze e nelle strade che videro caroselli ad ogni latitudine e bagni nelle fontane.

Se è rimasto iconico l’urlo di Tardelli, anche l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, non fu da meno perché dalla tribuna del “Bernabeu” si dimostrò un tifoso accanito e dopo il gol di “Spillo” disse “non ci prendono più” facendo “no” con la mano. E pensare che Pertini non voleva neanche andare a Madrid: aveva paura di portare sfortuna e fu quasi “obbligato” ad assistere alla fine perché costretto da re Juan Carlos.

L’Italia di Bearzot, la tanto contestata Italia di Bearzot, aveva vinto la Coppa del Mondo. Il silenzio stampa dei giocatori, disturbati dai commenti dei media, è stata la molla da cui ripartì la competizione degli azzurri che, da lì in poi, non persero più. Contro l’Argentina fu la partita della rinascita, contro il Brasile la partita della consacrazione, contro la Polonia la partita della certificazione e quella contro gli storici rivali teutonici quella mondiale.

Il Mundial ’82 è stato il Mondiale di Zoff, il capitano che a quarant’anni alzava al cielo la Coppa del Mondo; il Mondiale di Gentile e delle sue marcature che definire “asfissianti” è un eufemismo; il Mondiale di Scirea, elegante comandante della difesa; il Mondiale di Conti che sulla fascia fece quello che voleva e le cui palle messe in mezzo “bastava solo appoggiarle in rete”; il Mondiale di Bearzot, quello che capì tutto ancora prima che i fatti accaddessero, quello che difese il suo gruppo, quello che più di tutti credette nei suoi giocatori, quello che in due settimane passò dall’essere il male del calcio ad un idolo del calcio.

E’ stato però il Mondiale di Paolo Rossi, passato in poco tempo da traditore dei tifosi ad eroe dell’estate azzurra, da uomo da lasciare a casa a uomo del destino, da giocatore-scommettitore a idolo delle masse, da uomo copertina del Totonero a uomo copertina di un Mondiale che nessuno pensava di vincere. E a dicembre, “Pablito” vinse anche il Pallone d’oro, secondo italiano a riuscirci dopo Gianni Rivera.

La vittoria azzurra in Spagna aprì agli anni Ottanta, gli anni della ricchezza e del benessere diffuso dopo un decennio caratterizzato dal terrorismo e dalla paura.

L’urlo di Tardelli è ancora oggi il simbolo di chi lotta contro tutto e tutti e ce la fa, l’urlo di chi non deve mai smettere di rincorrere ciò che cerca.

Come cercare di vincere un Mondiale di calcio da underdog.

Articolo a cura di Simone Balocco

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