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Baggio: trascorsi 28 anni da quel dischetto maledetto. Ma chi ama il calcio, ti ha perdonato

Lui non l’ha dimenticato e nemmeno tutti quelli che hanno visto quella partita. Oggi, 28 anni fa, l’Italia perdeva la finale del Mondiale di calcio negli Usa. Non era nemmeno la prima volta che l’Italia veniva sconfitta in una finale della Coppa del Mondo dal Brasile, ma quella sconfitta ai rigori è nell’immaginario collettivo. Per uno dei rigori sbagliati, nemmeno l’unico, quello di Roberto Baggio.

Il Divin Codino, l’uomo che aveva portato l’Italia a quella finale, dopo partite epiche con espulsioni e infortuni, con risultati agguantati all’ultimo, con una sofferenza impossibile da dimenticare, sbagliò. Quel rigore lo tirò al cielo.

«Ancora oggi», ha detto qualche settimana fa, «non dormo bene per l’errore dal dischetto contro il Brasile. Ormai purtroppo è successo, sono situazioni spiacevoli che possono servire da lezione. Sin da quando ero bambino avevo sempre sognato di giocare una finale dei Mondiali contro il Brasile per poter vendicare quella persa nel 1970. Ma un contro è sognare, un altro conto è la realtà. Io avevo sempre sognato una finale differente».

L’avevano sognata tutti una finale differente a Pasadena, Los Angeles, sotto un solo cocente in mezzo alla giornata perché in Europa la si potesse vedere non a notte fonda. L’Italia di Arrigo Sacchi era a 11 metri dal Mondiale e lì rimase, in ginocchio e fra le lacrime, con una bellissima partita in semifinale contro la Bulgaria, ma non con un incontro epico come Italia-Germania 4 a 3 (che era stata la semifinale della Coppa del mondo persa nel 1970) da far rimanere nella memoria per cancellare il ricordo della finale persa.

Non è da un calcio di rigore che si giudica un giocatoreDe Gregori lo aveva già insegnato a tutti quelli davanti alla televisione in quell’estate, ma allora era difficile pensare che fosse vero. Coraggio, altruismo e fantasia avevano portato l’Italia di Sacchi fino a quella finale e alla fine sembrarono non essere sufficienti.

A guardarli 28 anni dopo quella finale e quel rigore sbagliato sono un simbolo di grande umanità, l’umanità che c’è nella sconfitta del migliore che torna più vicino che mai ai mortali. Roberto Baggio non sarà ricordato per quel rigore, sarà ricordato per il coraggio, l’altruismo e la fantasia, per essere stato sempre sé stesso in tutte le squadre in cui ha giocato. «Sono legato a tutte. Ho avuto il privilegio di giocare in grandi club, ma in ogni squadra ho imparato molto, lottando sia per lo scudetto sia per non retrocedere».

Anche da quel rigore calciato alle stelle una generazione ha imparato e ci ha pianto sopra, quella che era troppo piccola per ricordare il trionfo del 1982, ha vissuto da adulta quello del 2006 e non ha avuto il mondiale da diciottenne. È quella stessa generazione che ha visto Roby Baggio fare meraviglie in campo e portare a casa un Pallone d’Oro. Sì, lo ha visto sbagliare il rigore della vita, ma a chi non è successo di sbagliare in un momento decisivo? È quella generazione che ha una certezza: «da quando Baggio non gioca più, non è più domenica». Perché un altro Roberto Baggio, in campo, non lo ha mai visto.

Foto fonte: Vanityfair.

Fonte: Vanityfair.

Niccolò Bigazzi

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