L’“8” nella smorfia è “la Madonna”. Questo numero significa anche l’equilibro e l’infinito, se girato in orizzontale. Nella storia recente della Juventus, il numero “8” sulla maglia ha avuto un nome, un cognome ed un soprannome: Claudio Marchisio, il “principino”.
Il centrocampista torinese ha detto basta con il calcio giocato il 3 ottobre 2019 con una conferenza stampa all’”Allianz Stadium”, lo stadio che lo ha visto protagonista per sette stagioni e teatro dei trofei nazionali vinti dal calciatore nei suoi anni di militanza in bianconero. Marchisio ha detto basta dopo una stagione allo Zenit San Pietroburgo (dove ha vinto anche un campionato russo) e ha deciso di appendere le scarpette al chiodo a soli 33 anni. Un’età non troppo “avanzata”, visto che oggi in Serie A diverse squadre hanno in rosa giocatori over 33 anni (la Juventus, ad esempio, ne ha tre). Addirittura in Serie B il suo ex capitano, Gianluigi Buffon, a 44 anni difende ancora la porta del Parma.
Si chiamano scelte e vanno rispettate, anche se molti suoi estimatori e tifosi (e ce ne sono stati parecchi in Italia anche di squadre avversarie) avrebbero voluto vederlo ancora in campo e vincere altri trofei. Magari non con la Juventus, magari in un’altra squadra di Serie A, magari in Serie B. Ed invece no, per Marchisio non esisteva squadra in Italia che non fosse la sua amata Juventus, la squadra che lo ha cresciuto come una seconda famiglia e di cui ne ha indossato i colori per ventiquattro anni, il 67% della sua vita.
Eh si perché la prima volta che Claudio Marchisio vestì i colori della Vecchia Signora era il 1993, quando aveva sette anni. Era anche il 1993 quando Alessandro del Piero arrivò alla corte juventina. Entrambi sono diventate poi leggende con quella maglia. Lo chiamavano il “principino” perché era sempre garbato, gentile ed educato (si disse che ai tempi delle giovanili bianconere si presentasse agli allenamenti vestito di tutto punto).
Marchisio, classe 1986, conta 389 presenze con la maglia della Juventus e trentasette reti segnate in undici stagioni in prima squadra. Con la squadra torinese, il “principino” ha vinto sette scudetti (tutti consecutivi), un campionato di Serie B, quattro Coppe Italia (consecutive) e tre Supercoppe italiane (due consecutive). Il centrocampista ha anche giocato due finali di Champions League contro Barcellona e Real Madrid. E quelle due sconfitte (contro due squadre nettamente più elevate su un piano tecnico rispetto alla Juventus) hanno pesato molto per lui, in quanto ci teneva a vincerle. Come il fatto di non aver vinto nulla in Nazionale: Marchisio ha disputato la finale di Euro 2012 contro la Spagna, dove gli azzurri presero una “scoppola” (4-0) contro una selezione che in quegli anni praticava un altro sport. Marchisio, inoltre, è stato convocato per due Mondiali, ma la nostra Nazionale in entrambi i casi (2010 e 2014) uscì già nella fase a gironi. E nel match contro l’Uruguay, in Brasile, il 24 giugno 2014, Marchisio, anche lì numero 8 sulle spalle, è stato anche espulso.
Fonte Foto: Profilo Instagram Marchisio
Tornando alla sua esperienza con la Vecchia Signora, Marchisio con i bianconeri ha fatto tutta la trafila nel settore giovanile, imponendosi all’attenzione nella stagione 2005/2006, quando con la Primavera di Vincenzo Chiarenza vinse un campionato Primavera, una Coppa Italia ed il Torneo di Viareggio. Ovviamente il ragazzo era talentuoso e riuscì a racimolare qualche panchina in quella stagione in prima squadra con Fabio Capello, senza mai giocare. Il “principino” era il leader di una nidiata di talenti che nel giro di due stagioni avrebbero giocato in prima squadra (quasi) stabilmente: da Giovinco a Paro, da de Ceglie a Piccolo a Mirante. Di questi, solo Marchisio è quello che ha lasciato traccia (una traccia pesante) nella storia del club di corso Galileo Ferraris, mentre gli altri hanno deluso le attese o sono rimasti a Torino pochissimi anni.
La favola juventina di Marchisio iniziò il 29 ottobre 2006, allo stadio “Olimpico” contro il Frosinone, in Serie B, e si chiuse il 19 maggio 2018 allo “Stadium” contro il Verona. Due squadre dai colori gialloblù che hanno aperto e chiuso la carriera di un giocatore nato in una città i cui colori sono il giallo ed il blu. Quando si dice il destino. Marchisio con la Juventus in Serie B iniziò a trovare un po’ di spazio, ma la stagione successiva (che vide il pronto ritorno della Vecchia Signora in massima serie dopo un anno di “purgatorio”) venne prestato all’Empoli per farsi le ossa e giocare con continuità. A fine stagione, il centrocampista tornò sotto la Mole e lasciò la maglia bianconera solo dieci anni dopo.
Piano piano Marchisio, il “principino”, si impose e diventò titolare inamovibile con Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Delneri, Conte ed Allegri. E negli anni portò tanti (addetti ai lavori e non) a paragonarlo a Marco Tardelli come movimenti e tecnica. Qualche volta indossò anche la fascia di capitano (come in Primavera), spesso e volentieri segnava, tante volte prendeva “7” in pagella facendo la fortuna di chi lo aveva nella propria rosa del fantacalcio.
Marchisio divenne il quarto giocatore bianconero, il secondo italiano (dopo Simone Pepe), a segnare nel nuovo stadio di proprietà della squadra, il fu “Juventus Stadium” (oggi “Allianz Arena”), diventando un beniamino per i tifosi e le tifose bianconere: mai una polemica, sempre a lavorare duro per cercare sempre di superarsi e con una visione di gioco da top player. Il tutto unito ad una chioma bionda sbarazzina, gli occhi azzurri, un po’ di barbetta e qualche tatuaggio. Il suo secondo addio alla Juventus fu un colpo duro per i tifosi. Cosa spinse all’addio un uomo che era entrato alla Juventus da bambino e che con la Juventus era diventato adulto (e padre)? Una serie di guai fisici che non volevano passare e qualche incomprensione (forse) con il suo ultimo allenatore.
Chissà se non si fosse rotto il legamento crociato anteriore del ginocchio destro quel maledetto 17 aprile 2016 che lo riportò in campo solo la stagione successiva, come sarebbe stato il proseguo della sua carriera. Come i se e con i ma non si gioca a calcio ma, con tanta pazienza, si riprese ciò che aveva lasciato.
Per uno come lui, dire “addio” alla sua squadra non è stato facile e tante squadre (come è stato giusto che sia) quando hanno saputo che rescindeva con la Juventus si sono fiondate su di lui. Ma lui ha detto “no” e ha “sposato” la causa dello Zenit San Pietroburgo: altro campionato, altra Nazione, altri stimoli. Doveva prendere l’eredità (italiana) di Domenico Criscito, sette stagioni in Russia e suo ex compagno ai tempi della Primavera juventina. In maglia blu-bianca-azzurra, Marchisio fece nel complesso bene prendendosi anche lì la “sua” numero 8 e vincendo subito il titolo nazionale. Marchisio rescisse poi con il club russo il 17 agosto 2019.
Con il senno di poi, l’anno russo è servito a Marchisio per capire se fosse ancora all’altezza di tornare a grandi livelli o se era meglio dire basta, visto che gli infortuni iniziavano ad essere troppi e troppi erano i giorni di attesa fuori dal campo.
Calcisticamente il nostro calcio, con l’addio di Marchisio, ha perso sia un talento prezioso sia un uomo che in molti casi ha messo la faccia in alcune campagne dove solitamente il calciatore-tipo non la mette mai (dal no globalism alla crisi occupazionale, dall’emergenza clima ai migranti, dove sui suoi canali social si fece immortalare con il cartello #WithRefugees della campagna dell’Agenzia ONU per i Rifugiati), oltre a collaborare con l’edizione torinese de “Il Corriere della Sera”, fare l’opinionista televisivo sportivo e gettarsi nell’imprenditoria della ristorazione.
Del resto, Claudio Marchisio non è mai stato uno banale: è uno che in ogni cosa ha dato sempre sé stesso, non tirandosi mai indietro e cercando sempre di dare il buon esempio. E calcisticamente c’è riuscito: novantotto cartellini gialli (media di sette a stagione) e due “rossi” in quattordici anni di carriera professionistica sono davvero pochi per un centrocampista. Per non parlare del fatto che non ha mai fatto una polemica, mai una parola fuori posto: un leader anche se il suo sguardo aggraziato non sembrava dire lo fosse.
Fonte Foto: Profilo Instagram Marchisio
Sono tre anni che Claudio Marchisio ha detto basta definitivamente, lui che è stato uno tra gli ultimi esempi di bandiera calcistica e di devozione alla maglia. Oltre ad essere il ragazzo che tutti i genitori vorrebbero dare in sposo alle loro figlie.
Uno come lui, calcisticamente ed umanamente, avrebbe fatto comodo a tutte le squadre del pianeta per altri anni. Invece il “principino” Claudio Marchisio ha “sposato” la “sua” Juventus e le ha giurato fedeltà eterna. Che era quello che, alla fine, voleva.
Articolo a cura di Simone Balocco
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