Scrive Gianluca Di Marzio, alla prima frase ci dà già una risposta da titolo. “Corvino è unico. Ti parlo non solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto umano: per me è stato come un padre, andavo da lui a mangiare tutte le domeniche, mi dava consigli su tutto. Gli devo tantissimo. È un fuoriclasse nello scouting e nella gestione dei rapporti umani. Hai presente Messi? Ecco è uguale”. La chiacchierata con Valeri Bojinov inizia così. Lecce è stata la prima tappa del suo viaggio nel calcio, ci ha lasciato il cuore, tanti amici e ricordi. Con Corvino il rapporto è speciale, lo chiama il direttore. “Per me il Salento vuol dire casa. Seguo sempre il Lecce e spero possa costruire un ciclo importante e restare a lungo in A. Sono arrivato in Italia dalla Bulgaria che avevo 15 anni. Poi ho avuto la fortuna di giocare in altre grandi squadre, come la Fiorentina e la Juventus”.
Ci ride su. Ma se nella sua Juve in attacco c’erano Alex e David, oggi c’è un ragazzo che lui conosce bene. Dusan Vlahovic, preso da Corvino alla Fiorentina nel 2018 e ora uomo di punta dell’attacco bianconero. In quel caso l’assist fu… proprio di Valeri. “Io giocavo al Partizan e di calciatori forti da noi ne passavano parecchi. Ma Dusan non aveva ancora compiuto 16 anni ma aveva già un qualcosa di diverso, mi sembrava di rivedere me a quell’età. Consapevolezza dei propri mezzi e voglia di arrivare in alto. Mi diceva “Sarò l’Ibrahimovic dei Balcani”. Una voglia di spaccare il mondo mai vista, era pazzo. Pensava solo al campo, si allenava con un’intensità e una dedizione non comuni per la sua età”.
Quando gli provi a chiedere della situazione di ora di Vlahovic e della Juventus ti ferma subito. “Giocare lì non è facile, soprattutto se sei giovane e sei stato pagato tanto. Ma lui è uno che la pressione non la sente. In questo è come me. Certo è che quando la squadra non gira fa fatica, ma credo sia normale. È uno che può fare la differenza, cambiare le partite quando vuole. Può arrivare in alto. Ci sentiamo spesso, almeno una volta a settimana e vedo in lui la stessa fame di quando era un ragazzino di 16 anni e giocava nel Partizan”. Racconti di chi lo conosce e lo ha visto crescere, ma soprattutto di chi in Italia ha trovato la sua isola felice e non vede l’ora di tornare.
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