Un brodino a Lecce, e niente di più. Il campionato è oramai indirizzato, adesso speriamo nelle coppe
Il classico punticino che non serve a nessuno. E per continuare con i diminuitivi, l’1-1 di Lecce porta sulla tavola viola un brodino che non scalda, non rassicura. Soprattutto non nutre. Tanto meno la classifica. Tralasciando il primo tempo, assolutamente inguardabile ed imperdonabile, il problema si sposta sul secondo, apparentemente migliore. Perchè solo apparentemente? Perchè la Fiorentina non ha mai dato l’idea di voler vincere la partita. Va bene il gol di Kouamè (tutta la prestazione di Kouamè, ancora una volta il migliore in campo), bene l’assist di Cabral, bene i tiri da fuori di Quarta e Nico Gonzalez (il suo mancino dalla tre quarti avrebbe meritato miglior sorte), ma fermiamoci lì.
Il Lecce si è ritirato nella propria metà campo, ottimizzando le energie spese nel primo tempo, con i viola che hanno traccheggiato senza mai aver la forza di presentarsi davanti al portiere avversario. Non c’è volontà, non c’è grinta, non c’è il sacro fuoco. C’è solo qualche goccia in più nel bicchiere che, ahimè, resta tristemente mezzo vuoto. Unica nota positiva, qualche piccolo cambiamento apportato da Italiano: meno passaggi al portiere, più lanci lunghi a saltare il centrocampo (che tanto non ne prende una), pressing offensivo più basso per far scoprire l’avversario e colpirlo in contropiede. Forse un ritorno all’antico, un piccolo bagno d’umiltà, visto che la Fiorentina dello scorso anno non c’è più (negli uomini e nello spirito) e probabilmente non tornerà. Insomma, il campionato è questo e tale rimarrà (a meno di stravolgimenti clamorosi dopo i mondiali, che comunque ci possono stare…) la speranza è semmai trovare un guizzo nelle coppe: Italia o Conference, poco cambia. Pradè ebbe a dire che il Twente era la partita della vita, sottintendendo un impegno massimale, diverso dal campionato: scelta rischiosa e discutibile, ma se realizzata porterebbe la Fiorentina in Europa anche l’anno prossimo. Vediamo…
Editoriale a cura di Stefano Borgi