La prima considerazione è una via di mezzo tra una domanda ed un rimpianto: com’è stato possibile, ci chiediamo, pareggiare in casa contro la modesta (anzi, modestissima) squadra del Riga e giocarsi così il primo posto nel girone di Conference?
Autocondannandoci a disputare il play-off a metà febbraio, due partite in più in un calendario fittissimo, delle quali non sentivamo assolutamente la mancanza? Dopo la partita di oggi, ma anche dopo il misero 2-1 casalingo col Basaksheir, le recriminazioni si accavallano, si moltiplicano, prendono forme oscure ed inquietanti. A maggior ragione se pensiamo a quel primo tempo disputato al Franchi contro i georgiani, condito da almeno 5 nitide palle gol più un palo di Barak a portiere battuto. Ma si sa, il calcio è materia strana, il pallone è rotondo, e via andare con altre frasi fatte. Certo, quella non era la Fiorentina di adesso: una Fiorentina sconclusionata, farfallona, fragile mentalmente, tesi avvalorata dal fatto che dopo il pareggio di Ilic (a ben mezz’ora dalla fine) i viola non furono più capaci di passare la metà campo avversaria. Il clima che si respira ora in casa viola è ben diverso: facce allegre, distese, scelte precise fatte dall’allenatore (due esempi: Terracciano per Gollini e Jovic per Cabral), gerarchie vivaddio ripristinate. Ed una nuova voglia di aiutarsi l’un l’altro. Ma c’è di più.
Sembra oramai conclamata la strambata tattica verso il 4-2-3-1, con l’uso del trequartista (o se preferite, l’uomo tra le linee) diciamo così… girevole: una volta è toccato a Saponara, un’altra a Bonaventura, un’altra ancora a Barak, un tourbillon di potenziali numeri dieci che hanno dato fantasia ed imprevedibilità alla manovra gigliata. E a proposito di Barak: per la prima volta abbiamo rivisto il calciatore ammirato in quel di Udine e Verona. Più dentro al gioco, più in appoggio alle punte, più intraprendente in area di rigore (il suo gol è venuto addirittura dall’area piccola del Riga). Ed anche un tiro dalla distanza uscito per pochi centimetri. Certo, l’avversario era quello che era, ma certi movimenti, certi inserimenti, fatti per di più col sorriso sulle labbra, ci dicono che siamo sulla strada giusta.
Chiudiamo con un plauso per le due pianticelle Bianco e Di Stefano. Ed anche ad Italiano che ha avuto il coraggio di metterli in campo. Soprattutto il primo è sembrato giocatore di carattere e personalità, a tratti anche cattivo, con la rara virtù (indispensabile per diventare un vero centrocampista) di trovarsi sempre dove cade il pallone. Non ce ne voglia Amrabat, ma in prospettiva è quella la tipologia di calciatore che serve alla Fiorentina. Ai posteri…
Editoriale a cura di Stefano Borgi
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