Scrive il Corriere di Arezzo, la Fiorentina superò la Juventus 2 a 0 con gol di Duncan e Gonzàlez. Era il 21 maggio 2022, ultima di serie A, e con quella vittoria al Franchi di Firenze la Viola oltre a battere i rivali bianconeri, conquistò l’Europa con l’accesso ai preliminari di Uefa Conference League. Una gioia per i tifosi gigliati.
Tra gli spettatori di quella sera (fischio d’inizio 20.45) c’era anche un operaio specializzato aretino, 40 anni, al quale la partita è però costata il licenziamento dal posto di lavoro. E’ stato messo fuori organico dalla sua azienda perché in quel periodo era “in malattia”.
Il fatto di essersi recato allo stadio fu ritenuto scorretto e secondo il datore di lavoro il comportamento era punibile disciplinarmente in modo rigoroso, in base all’articolo 18 della legge n. 300 del 1970. Scattò il cartellino rosso: espulsione. Stando alla contestazione, il dipendente in occasione dell’evento sportivo si recò a Firenze in auto – lui al volante – insieme ad un amico e testimoni che lo videro lo descrissero “in perfette condizioni fisiche, senza alcuna sofferenza apparente”.
E ancora: “È stato visto allegro e camminare speditamente e con disinvoltura”. “Dalle circostanze in fatto sopra indicate – ne deduceva l’azienda – si evincono legittimi e fondati sospetti sulla non genuinità della sua assenza per malattia e dalla certificazione medica fatta pervenire in azienda”.
Niente affatto, stabilisce la sentenza del giudice del lavoro di Arezzo. A distanza di sei mesi dalla partita e dal conseguente licenziamento il giudice Rispoli con sentenza dell’8 novembre fa carta straccia del provvedimento e ordina all’azienda il reintegro dell’operaio, con il pagamento delle mensilità (cinque) non pagate e il versamento dei contributi, oltre alle spese legali. Ricorso dell’operaio “fondato” e quindi accolto; estromissione del dipendente “illegittima”.
Ma qual è la motivazione portata dal giudice? Intanto non è affatto dimostrato, che l’assenza dal lavoro dell’operaio non sia “genuina”, si legge in sentenza. Ci sono certificati medici che hanno valore di atto pubblico, osserva Rispoli, “e nei cui confronti non è stata proposta querela di falso”. Quindi, fino a prova contraria, non c’è motivo per dubitare che l’assenza dal lavoro fu proprio per lombocruralgia (sciatica).
E non si può neanche contestare al lavoratore di aver aggravato quel problema andando allo stadio, dato che “è rientrato al lavoro proprio nella data originariamente prevista per il termine della malattia”. Dunque la trasferta all’Artemio Franchi non fu nociva per le sue condizioni di salute. In più la sentenza afferma, a favore de dipendente: “Si è recato ad assistere all’evento sportivo in orario in cui egli non era reperibile per la visita fiscale, così pienamente esplicando il proprio diritto di libera circolazione assicurato a ogni cittadino che non sia destinatario di provvedimenti restrittivi promananti dall’autorità giudiziaria”.
Era in malattia mica agli arresti domiciliari. Infine, il giudice esclude vi sia un aspetto di “inadempimento dell’obbligo di buona fede e correttezza” da parte di ogni dipendente verso il datore di lavoro “in quanto non esiste un obbligo di riposo assoluto in pendenza di malattia ove non oggetto di prescrizione medica (col limite del colpevole aggravamento del proprio stato morboso), né è precluso al lavoratore in malattia lo svolgimento di qualsiasi attività ricreativa”.
Per l’operaio tifoso una bella rivincita. Messo fuori squadra dal suo titolare, ha trovato occupazione, a tempo determinato presso un’altra azienda, pertanto la sentenza specifica che il datore di lavoro precedente deve versare la differenza economica. Quel che più conta è che il verdetto – comunque impugnabile – dispone che l’operaio torni al suo posto.
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