Innamorarsi e deludersi di Adriano: l’Imperatore, una promessa sbocciata ma subito appassita
Per “calcio di agosto” si intende l’insieme di tutte le partite amichevoli, a volte senza senso, che si disputano durante i ritiri estivi. Sono amichevoli tra squadre professionistiche (top team nazionali quanto squadre di Serie B e Serie C) e squadre ultra-dilettantistiche della zona del ritiro giusto per mettere minuti e fatica nelle gambe in attesa delle prime partite di campionato. Queste partite si giocano quasi sempre in montagna e sono considerate come il primo abbraccio che i tifosi danno alle loro squadre. Spesso sono partite che lasciano il tempo che trovano, ma per i tifosi sono un’ottima alternativa allo stare a casa nei weekend di luglio e agosto quando fa caldo, quando si parla solo di calciomercato. Ma spesso sono amichevoli di lusso, di spessore internazionale anche giocate all’estero.
Nell’estate 2001 l’Inter si appresta a preparare l’ennesimo assalto al tricolore cercando di imporsi tra le due squadre romane, campioni di Italia nelle due stagioni precedenti. Massimo Moratti, patron-presidente-tifoso della Beneamata, anche quell’estate non badò a spese e portò sul Naviglio Toldo, Materazzi, Cristiano Zanetti, Kallon e Belozoglu ed il protagonista della nostra storia, in un contesto tecnico molto elevato che contava Ronaldo Nazario, Vieri, Javier Zanetti, Seedorf e di Biagio. L’Inter disputò quell’estate alcune amichevoli ed una di queste l’ha disputata martedì 14 agosto 2001 allo stadio “Bernabeu” contro il Real Madrid per l’assegnazione del “Trofeo Bernabeu”. A vincere furono i nerazzurri per 2-1: vantaggio di Vieri, pareggio di Hierro su calcio di rigore e gol vittoria, al 91’, su punizione, da parte del protagonista della nostra storia, in campo con la maglia numero 14.
Torniamo al minuto 91: il protagonista della nostra storia era entrato in campo da otto minuti e al 91’ era sfuggito alla marcatura merengues e, a ridosso dell’area di rigore, Fernando Hierro lo buttò per terra. Punizione dal limite. Intorno al pallone Seedorf, di Biagio, Materazzi ed il protagonista della nostra storia. Cuper disse a Seedorf che la punizione l’avrebbe calciata il nuovo entrato. Il numero 14 nerazzurro prese la rincorsa e calciò un sinistro violentissimo che si schiantò all’incrocio dei pali. Casillas si allungò e non ci arrivò. Gol e vittoria di prestigio interista contro i futuri campioni d’Europa.
Il protagonista della nostra storia venne festeggiato, osannato ed il giorno dopo tutti i giornali parlarono di lui, del suo gol e della “bomba” calciata di sinistro chi dice a 140, chi a 180 e chi di poco superiore ai 100 km/h. Il protagonista della nostra storia aveva un nome, un cognome ed un’età. Si chiamava Adriano Leite Ribeiro ed aveva 19 anni.
Questo ragazzo brasiliano si era presentato “in punta di piedi” quella vigilia di Ferragosto. Era nato e cresciuto in una delle peggiori favela di Rio de Janeiro (Vila Cruzeiro) e aveva dalla sua una grande voglia di fare, di emergere, di diventare un simbolo. Quel giorno di metà agosto era caduto nel mondo del calcio un vero meteorite. Adriano Leite Ribeiro è stato un qualcosa di meraviglioso: potenza, velocità, classe, tecnica, inarrestabilità.
La sua carriera si può dividere in tre “ere”: la golden age, gli anni difficili, il canto del cigno. La prima termina nel 2006, la seconda nel 2011, la terza nel 2014 quando a 32 anni il ragazzo di Rio decise di dire addio al calcio tra i rimpianti di una generazione di tifosi interisti che con lui in campo sperava di tornare a vincere in Italia, in Europa e nel Mondo. Un giocatore che anche i tifosi avversari avrebbero voluto avere nella rosa della loro squadra.
Con il ritorno in campo di Ronaldo il Fenomeno ed un reparto di attacco composto da giocatori più esperti, mister Cuper mandò “Adri” (in gol contro il Venezia alla sua seconda partita da titolare con annesso gol-vittoria) a Firenze in prestito sei mesi. In Viola non fece male, ma fu la Viola a fare male e a fine stagione retrocesse e ripartì la stagione successiva dalla Serie C2 con una nuova denominazione. Ovviamente, Adriano debuttò e segnò: era il 13 gennaio 2002, avversario il Chievo.
Appena tornato a Milano, Adriano andò a Parma (in comproprietà) ancora per farsi le ossa: diciotto mesi, 44 partite, 26 reti segnate e i galloni di attaccante del futuro dell’Inter. In coppia con Adrian Mutu disputò un anno e mezzo incredibile, ma nel gennaio 2004 Adriano fu richiamato alla base: all’Inter di Zaccheroni (che era subentrato a fine ottobre a Cuper) serviva l’Adriano di quel frangente.
Tra il gennaio 2004 ed 2006, si assiste al miglior Adriano di sempre: gol, gol, gol. Prestazioni incredibili ed una tifoseria ai piedi del suo Imperatore, il suo nuovo soprannome. Due momenti da incorniciare: la traversa piena presa da 35 metri da fermo contro il Palermo il 18 settembre 2004; il gol assurdo contro l’Udinese un mese dopo dove, in sessanta metri di corsa palla al piede, saltò quattro avversari e segnò dopo che quattro minuti prima aveva segnato il primo gol con un sinistro potente e preciso su punizione dai trenta metri. Nel 2004 e nel 2005 si piazzò, inoltre, al sesto e al settimo posto nella classifica finale del Pallone d’oro. Il Mondo era in mano a questo ragazzo di 190 centimetri con un piede incredibile ed una forza unita ad una classe che si vedeva in pochi calciatori.
Anche con la Nazionale brasiliana, l’Imperatore non scherza: nel 2004 trascinò la Seleçao a vincere la settima Copa America e l’anno dopo la Confederations Cup: sette gol nella prima manifestazione, cinque nella seconda. E Brasile che per Germania 2006 partiva con gli stra-favori del pronostico. Pronostici gettati alle ortiche perché i verde-oro arrivarono solo ai quarti, eliminati dalla Francia. Adriano in quel Mondiale segnò due reti.
Il 2006 è stato lo spartiacque della carriera di Adriano che, improvvisamente, spense la luce. Buio, buio totale. Da quel momento, e fino al 2011, Adriano non solo non è più l’Adriano di un tempo ma non è nemmeno un suo lontano parente, neanche il vicino di casa. Nella carriera di un calciatore gli alti e bassi ci possono stare, ma dall’estate 2006 in poi finisce la favola di Adriano. Il ragazzo subisce un’involuzione ed inizia a fare ciò che un atleta professionista non dovrebbe mai fare: bere birra, bere vino, bere vodka, bere whisky, mangiare disordinatamente e male. I suoi risvegli al mattino sono da incubo e si presentava ad Appiano ancora peggio.
Per capire questa tremenda involuzione c’è da tornare al 5 agosto 2004 quando morì il padre Almir, 44 anni: per “Adri”, la figura paterna era un qualcosa di paragonabile ad un fratello. L’uomo muore, forse, per i postumi di quella pallotta che gli si era conficcata nel cranio quattordici anni prima venendo coinvolto, suo malgrado, in una sparatoria.
Adriano rimase all’Inter fino al gennaio 2008 quando la società decise di mandarlo in Brasile, al San Paolo: magari tornando a casa sarebbe potuto tornare quello di un tempo e non il fantasma di se stesso che negli ultimi tempi beveva, fumava, mangiava e frequentava persone non consigliabili. Anche in Brasile ciccò, ma il nuovo tecnico interista, José Mourinho, credette in lui. I tifosi nerazzurri, nell’estate 2008, sognarono con un attacco atomico formato dall’Imperatore, Zlatan Ibrahimovic, Hernan Crespo ed il giovane Mario Balotelli, coetaneo del primo Adriano interista. Ma lui non ricambiò la fiducia: notti brave, scarso impegno ed il fatto che Adriano era già un ex giocatore a 27 anni. Ad aprile rescissione del contratto: terminava una storia d’amore che sembrava indissolubile.
Addio Europa e ritorno alle origini, al Flamengo, la sua prima squadra, quella che gli diede la possibilità di emergere e diventare un calciatore professionista. Con i rubro-negro diede ancora sprazzo di qualche giocata, segnò ma fisicamente era tutto tranne che un giocatore. Ma il campionato brasiliano non era l’Europa e andava bene così.
L’8 giugno 2010, il colpo di mercato: Adriano firma con la Roma. I giallorossi, guidati da Claudio Ranieri, vogliono dare un’altra possibilità al (fu) Imperatore. Adriano si presentò in ritiro che pesava 102 kg: un calciatore non poteva pesare così tanto. Eppure a Roma credettero che il brasiliano là davanti, con Totti, Vucinic, Borriello e Menez, sarebbe (calcisticamente) risorto: Adriano a marzo rescisse dopo otto partite giocate (su trentasette a disposizione) e se ne tornò una volta per tutte in Brasile. Destinazione: il fine carriera con Corinthians, ancora Flamengo, il rifiuto da parte di Palmeiras e Internacional di tesserarlo, Atletico Paranaense ed una partita con gli sconosciuti americani del Miami United, quarta serie. In quattro anni giocò 5 partite cui c’è da aggiungere anche la fallimentare esperienza con i francesi del Le Havre, cadetteria francese, nell’estate 2014. Si sperava che nella serie cadetta francese magari l’Imperatore sarebbe tornato…Imperatore. Ed invece Adriano venne presentato, qualche allenamento e ciao a tutti.
Ma il suo amore è stato l’Inter: Massimo Moratti lo coccolò, lo protesse come ha protetto i giocatori su cui aveva scommesso molto, sportivamente e calcisticamente (due su tutti, Ronaldo Nazario e Recoba). Si disse che anche l’Inter ebbe le sue colpe nella gestione del giocatore, pensando che la squadra avrebbe dovuto difenderlo, fare quadrato intorno a lui ed impedire che finisse nel gorgo dell’alcool e dei vizi.
Il 21 dicembre 2016, Adriano tornò a San Siro e prima del match casalingo contro la Lazio si presentò in campo, foto di rito e tifosi nerazzurri che fecero partire cori in suo onore. Del resto, la sua ultima rete con l’Inter era stata nel derby del 15 febbraio 2009 con un clamoroso tocco di mano.
Nei suoi cinque anni atomici, Adriano colpì tutti per la sua prestanza fisica, la corsa, il sinistro, il divertirsi con il pallone tra i piedi. Ma come ha colpito in positivo, ha colpito in negativo: le serate milanesi, l’alcool, amici che si dimostrarono amici solo a parole, donne opportuniste, i ritardi agli allenamenti, la depressione, l’addio al calcio a poco più di trent’anni quando oggi a trent’anni un calciatore è al top della condizione a qualsiasi livello.
Adriano è stata una promessa sbocciata, ma subito appassita. Sembrava invincibile, un vero imperatore. Sarebbe potuto essere un giocatore incredibile, mai visto, ed invece non è stato così. Una sorta di Icaro: se il sole fece cadere in mare Icaro portandolo alla morte, nel caso di Adriano il “sole” è rappresentato da tutto ciò di sbagliato che lo circondò in carriera. E ciò lo fece “morire”.
Ora in Brasile, Adriano sembra tornato sereno, è attivo sui social dove posta immagini della sua vita quotidiana e pietanze improbabili.
Alla fine, è stato bello: la storia di un ragazzo di 19 anni che iniziò la carriera “spaccando” la porta del Real Madrid in una calda sera d’agosto e che poteva diventare una leggenda del calcio. Ci siamo innamorati ed altrettanto siamo rimasti delusi da Adriano Leite Ribeiro, il protagonista della nostra storia.
Articolo a cura di Simone Balocco
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