Nel 1995, anno in cui “Forrest Gump” fa incetta di Oscar, nasce Ebay e viene commercializzata la prima PlayStation, finisce la guerra in Jugoslavia e Giorgia vince Sanremo con “Come saprei”, gli 883, formati dal solo Max Pezzali dopo l’addio, due anni prima, di Mauro Repetto, pubblicano il loro terzo album, “La donna il sogno e il grande incubo”. Undici tracce tra cui le iconiche “La radio a 1000 watt”, “Ti sento vivere”, “Tieni il tempo” e “Una canzone d’amore”. Canzoni che quando passano in radio i Millennials cantano a squarciagola. Ma la canzone…più canzone di quell’album è, senza dubbio, “Gli anni”.
“Gli anni” si può considerare la canzone simbolo e, sicuramente, tra le prime cinque scritte ed interpretate da Max Pezzali che dal 2004 “lavora” usando il suo nome, abbandonando il nome del gruppo.
Di cosa parla quella canzone? Racconta la nostalgia dei tempi che furono non solo del cantante pavese, ma di tutti quanti noi. Significa pensare al nostro passato, alla nostra gioventù e al come eravamo, consapevoli che quegli “anni” non torneranno più indietro.
Gli anni Novanta sono stati gli anni della nostalgia, delle sperimentazioni della musica da discoteca, dello sdoganamento della musica hard rock e della nascita di diversi suoi sotto generi (uno su tutti, il grunge) e l’affermazione della musica rap anche alle nostre latitudini, fino a quel momento relegata solamente all’underground. E come ogni decade, è la musica pop a fare da traino.
Il successo degli 883 prima e di Max Pezzali dopo è basato su testi semplici, orecchiabili, giovanili, poco impegnati, non volgari, sinceri e consapevoli di aver raccontato davvero la nostra golden age, la nostra età adolescenziale delle medie e delle superiori.
De “Gli anni” è memorabile il ritornello:
Gli anni d’oro del grande Real/gli anni di Happy Days e di Ralph Malph/gli anni delle immense compagnie/gli anni in motorino sempre in due/gli anni di “Che belli erano i film”/gli anni dei Roy Rogers come jeans/gli anni di “Qualsiasi cosa fai”/gli anni del “Tranquillo, siam qui noi”.
Pezzali qua parla del suo passato, di quando era giovane, di quanto lui e i suoi amici facevano cose e che oggi, per ovvie ragioni, non possono più fare: “cosa vuoi/il tempo passa per tutti lo sai/nessuno indietro lo riporterà neppure noi”.
Calcisticamente Max Pezzali è un tifoso dell’Inter, segue il calcio e nel ritornello de “Gli anni” c’è un riferimento calcistico ad un qualcosa che lui, e la sua generazione, ricordano a distanza di anni.
Ma che sempre ricorderanno: “gli anni d’oro del grande Real”. Il riferimento è al Real Madrid, la squadra più famosa e titolata del Mondo.
Se si pensa al “grande Real”, la mente va al Real Madrid padrone di Spagna e d’Europa degli anni Cinquanta, una squadra che in quel decennio vinse quattro titoli nazionali, cinque Coppe dei campioni consecutive (record imbattuto da allora) ed una Coppa Intercontinentale. Una squadra favolosa guidata dietro la scrivania da Santiago Bernabeu, ex giocatore ed ex allenatore del club e presidente dello stesso dal 1943 (e fino al 1978), e con in campo giocatori iconici e storici come di Stefano, Rial, Munoz, Kopa, Gento, Puskas, Marquitos, Adelarpe, Santamaria e Santisteban.
Se si ascolta però la canzone, si noterà che Pezzali canta, diciamo, un periodo che va dalla metà degli anni ’70 a, verosimilmente, all’anno di uscita de ‘’Gli anni’’: il cantante è nato nel 1967 e non può aver vissuto gli anni del Real Madrid di Bernabeu se non per sentito dire.
Va bene che quel Real Madrid sarà sempre ricordato, ma che senso ha parlare di qualcosa che il cantante non ha visto e non ha vissuto?. A quale ‘’grande Real’’ fa riferimento allora Max Pezzali?. Negli anni Ottanta c’è stato un altro “grande Real”. Un Real Madrid non iconico come quello di di Stefano e Puskas, ma un altro che ha scritto la storia del calcio iberico. Pezzali fa quindi riferimento a quello degli anni Ottanta, quello che tra il 1980 ed il 1990 ha vinto sei Liga (di cui cinque consecutive), tre Coppe di Spagna, tre Supercoppe spagnole e due Coppe Uefa consecutive. Insomma, non poco.
Pezzali, come detto, era (ed è ancora) tifoso interista e la sua Beneamata in quello stesso periodo, in Italia, non aveva avuto gli stessi successi degli spagnoli, vincendo solo due scudetti ed arrivando quattro volte terza in campionato e qualificandosi sempre, in quel decennio, per le coppe europee.
Max Pezzali lega molto, quindi, il suo essere tifoso interista al Real Madrid perché negli anni Ottanta Real Madrid – Inter era una classica del calcio europeo e nella prima metà degli anni Ottanta, le due squadre si sono incontrate ben quattro volte: una volta in Coppa dei Campioni (semifinale 1980/1981), una volta in Coppa delle Coppe (quarti di finale 1982/1983) e due volte in Coppa Uefa (semifinale 1984/1985 e 1985/1986). In tutti questi casi, l’Inter è sempre stata eliminata dai blancosa.
Quello era il Real passato alla storia come la ‘’Quinta del Buitre”, un’antesignana di ciò che è poi è stata (ed è ancora oggi) “La Masia” del Barcellona: scoperta di talenti e vittorie, scoperta di talenti e vittorie, scoperta di talenti e vittorie.
Prima della cantera barcelonista, c’era il settore giovanile del Real che ha nel Castilla la sua punta di diamante: l’unica equipo filial a vincere un campionato di Segunda divison (ma impossibilita poi a giocare la stagione successiva in Liga), l’unica ad arrivare in finale di Copa del Rey, l’unica a giocare una coppa europea “adulta”.
Il nome “Quinta del Buitre” (traducibile in “esercito dell’avvoltoio) fu coniato dal giornalista de “El Pais” Julio Cesar Iglesias, il 14 novembre 1983, nel parlare proprio del Real Madrid Castilla e di cinque ragazzi che, dal settore giovanile, giocavano in pianta stabile in prima squadra: Emilio Butragueño, Manolo Sanchís, Rafael Martín Vázquez, Míchel e Miguel Pardeza. E il nome “Quinta del Buitre” riprende, anche il soprannome proprio di Butragueño, detto Buitre, “avvoltoio”, da quanto fosse pericoloso in area di rigore (per lui 171 reti in dodici stagioni con la camiseta del Real).
Eppure il calcio spagnolo, a parte i due successi europei del Real, negli anni Ottanta-Novanta non era vincente in Europa: con l’arrivo dei Galacticos (detti anche “Zidanes y Pavones”), del Barcellona di Guardiola e del Siviglia cannibale in Coppa Uefa/Europa League, il calcio spagnolo ha iniziato a contare. E di riflesso anche la Nazionale: prima del quadriennio d’oro 2008-2012, la Roja era una vera incompiuta con tanto talento ma zero successi (miglior posizione, il secondo posto ad Euro ’84). Da allora, la Spagna è una Nazionale top mondiale.
Tornado a quegli Inter-Real, per fortuna degli interisti la loro squadra non ha più affrontato i blancos fino alla fase a gironi della Champions 1998/19999, perdendo alla prima giornata al “Bernabeu”, ma vincendo al ritorno a Milano trascinata da un super Baggio.
Ma se si pensa a Inter-Real, la mente vola alla finale della Coppa dei Campioni del “Prater” del 27 maggio 1964, quando i nerazzurri avevano sconfitto 3-1 il Real Madrid giunto alla settima finale nelle prime nove edizioni. L’Inter poi bissò la vittoria anche la stagione successiva, bissando anche la Coppa Intercontinentale. Era, la “grande Inter” di Angelo Moratti, del “mago” Helenio Herrera in panchina e con in campo la filastrocca Sarti-Burgnich-Facchetti-Bedin-Guarneri-Picchi-Jair-Mazzola-Milani-Suárez-Corso. E qua torna la nostalgia verso un calcio che fu.
Tornando a “Gli anni”, è una canzone molto bella, intensa, a tratti triste e orecchiabile. E questa canzone racconta la vita di ognuno di noi, perché tutti noi abbiamo vissuto gli stessi momenti cantanti da Max Pezzali. Belli o brutti che siano stati, momenti che non torneranno indietro mai più. Come non torneranno più indietro “gli anni del grande Real”. Che sia quello delle cinque Coppe dei Campioni consecutive o quello della “Quinta del Buitre” o degli “Zidanes y Pavones”: è stato bello averli vissuti. E gli interisti, come Pezzali, possono dirlo forte.
Articolo a cura di Simone Balocco
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