Scrive il Corriere dello Sport, furono mesi estremi: l’addio di Totti (e Spalletti), la semifinale di Champions, un mercato sfortunato, un addio traumatico. Quattro anni dopo Ramon Rodriguez Verdejo, che tutti conosciamo come Monchi, può vincere la sua settima Euroleague da direttore sportivo del Siviglia. Contro la Roma. Se non è un incrocio assurdo questo, è difficile trovarne di più strani.
Che effetto fa?
«La soddisfazione è in primo luogo per la mia squadra, che ha vissuto una stagione tribolata ed è arrivata a Budapest. In seconda analisi se avessi potuto scegliere l’avversaria nell’ultimo atto, per giocarmi ancora un titolo, avrei indicato la Roma».
La sua, tra la primavera del 2017 e quella del 2019, fu un’esperienza non banale. L’ex presidente Pallotta le attribuì molte responsabilità degli insuccessi tecnici e delle difficoltà economiche.
«A Pallotta sarò sempre grato per avermi portato alla Roma, che è un club più grande di quanto venga percepito da fuori. Non mi sentirete mai parlare male di lui né delle altre persone che hanno lavorato con me in quel periodo».
Però lei, Monchi, si dimise dopo la sconfitta di Champions a Oporto che determinò l’esonero di Eusebio Di Francesco. È vero che non aveva un piano B?
«Avevo anche quello C o D, è parte del mio mestiere. Il Siviglia in questa stagione ha cambiato due volte l’allenatore… Il punto è che per me Eusebio meritava di finire la stagione. Veniva dall’impresa contro il Barcellona e aveva accettato le cessioni importanti che la società gli aveva imposto: Salah, Rüdiger, Paredes, Mario Rui. Per me doveva solo ritrovare fiducia. La proprietà aveva altre idee, perciò pensai che fosse meglio lasciare ad altri la poltrona. E comunque non fu solo Di Francesco il motivo delle mie dimissioni: semplicemente non c’era più sintonia».
Per colpa di chi?
«Mia. Almeno al 95 per cento. Sarebbe facile oggi per me dire che non mi è stato permesso di lavorare come avrei voluto. Ma non sarebbe la verità. Non entro nei dettagli, mi chiede di Pastore o di altri acquisti che non erano giusti ma io non mi soffermo sul caso singolo. Dico solo che ho sbagliato, non ho saputo rispettare le aspettative che io stesso avevo».
Quale errore non rifarebbe?
«Cambierei sicuramente qualcosa. Ora forse mi riuscirebbe anche, con l’esperienza vissuta. All’epoca pagai la scarsa conoscenza della Roma e di Roma. Quei due anni comunque restano nel cuore: non dimentico i tifosi sotto casa a festeggiare dopo il 3-0 al Barça. E ho ancora tanti amici romanisti che mi hanno scritto dopo la semifinale vinta contro la Juventus. Purtroppo la passione non è bastata per dare ciò che avrei voluto. L’onestà non è mai mancata, la qualità a volte sì».
Tornato a Siviglia, ha subito ripreso confidenza con le vittorie. Nel 2020 la sua sesta Europa League passò anche per una vittoria sulla Roma. E per la finale contro l’Inter.
«Nella mia carriera sono arrivato 19 volte in finale. E 10 volte ho vinto. Non so quanti direttori sportivi abbiano questo curriculum senza aver mai guidato il Manchester City o il Chelsea. Il punto è che al Siviglia ho anche qualche bonus da spendere, come è successo quest’anno, perché ho una storia. Alla Roma, comprensibilmente, non avevano tempo da concedermi per rimediare agli errori».
Non le resta la tentazione di dimostrare il suo valore anche fuori da Siviglia?
«Dico la verità: sì. Non so se poi vorrò fare una nuova esperienza all’estero, perché qui sto benissimo. Ma il pensiero da qualche parte nella testa è rimasto».
A Trigoria ebbe il compito di comunicare a Totti che avrebbe smesso di giocare.
«E non riuscii a trattenere Spalletti, che a Napoli ha dimostrato tutto ciò che ho sempre pensato di lui. Quanto a Francesco, non sono stato io ad azionare la ghigliottina come lessi all’epoca. E con lui si creò da subito un ottimo rapporto. Ancora oggi ci sentiamo».
Tornando alla finale: cosa è cambiato rispetto all’ottavo di Duisburg di tre anni fa?
«Sono squadre diverse da allora. All’epoca noi andavamo come treni, loro meno. Mi aspetto una bella partita, equilibrata. E spero che giochi Dybala, perché i grandi calciatori devono essere tutti presenti. L’unico dubbio è sul possesso palla: la Roma di solito lo lascia all’avversario, noi pure. Magari il pallone resterà a lungo tra i piedi dell’arbitro Taylor».
Chi vince?
«Ovviamente mi auguro che tocchi di nuovo a noi. Negli ultimi due mesi siamo andati forte. E l’Euroleague per il Siviglia è come una magia, nata con un gol in semifinale di Antonio Puerta che ora ci guarda dall’alto: la data la ricordiamo tutti, è il 27 aprile 2006. Era il centesimo minuto. La prima coppa nacque lì».
State aiutando i tifosi con un contributo economico per raggiungere Budapest.
«Lo meritano. Sono stati straordinari. Inoltre l’Ungheria è molto lontana dall’Andalusia, non è facile per noi spostarci dall’altra parte dell’Europa. Anzi, adesso mi faccia andare: oltre a cercare i giocatori per l’anno prossimo, devo trovare i voli per accontentare tutte le richieste».
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