Da oggi è in libreria “Il momento giusto”, l’autobiografia edita da Cairo che Pippo Inzaghi ha scritto insieme a G.B. Olivero, giornalista della Gazzetta. Oggi alle 18.30, alla Mondadori in piazza Duomo a Milano, ci sarà la presentazione. Anticipiamo qui quattro estratti.
L’ULTIMO GOL, IL REGALO AL MIO SAN SIRO
Dettare il passaggio è come un passo di danza a distanza con il tuo compagno: bisogna lavorare bene in coppia, lui deve servirti al momento giusto e tu devi farti trovare al posto giusto. Ci sono tutto io in quest’azione. Parto sulla linea del fuorigioco. Seedorf ha capito in anticipo, il suo lancio è perfetto, io stoppo di petto e mi defilo leggermente sulla destra. Ma non ho bisogno di guardare la porta, non mi è mai servito: io la “sento”. Fontana, portiere del Novara, mi esce incontro con prontezza e mi chiude lo specchio, almeno è ciò che crede. Io faccio una girata di destro e la palla finisce in rete. Impazzisco. Corro sotto la curva, il primo ad abbracciarmi è Nesta. L’ultimo tiro della mia vita è un gol: non ho più alcun dubbio, non mi farò tentare da nessuna offerta, questa è la mia ultima partita. È finita. Prima di tornare a centrocampo mi fermo, mi giro verso i tifosi, mi inginocchio, sollevo la maglia e la bacio. Un bacio commosso, dolce, gonfio di eterna gratitudine. L’arbitro fischia, vedo mio nipote Tommaso correre da me. Lo stringo forte, mi si chiude il cuore. Guardo la mia Sud e la saluto… Ciao Milan, ciao San Siro. È stato bellissimo.
“HO SMESSO UN ANNO PRIMA PER ALLEGRI”
Era stato Allegri a chiudere la mia carriera da giocatore. Io e il Milan, infatti, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto. Io sarei stato un importante collante nello spogliatoio che nel giro di poco tempo aveva perso Maldini, Pirlo, Nesta, Gattuso, Seedorf. Elementi di spessore che avevano lasciato un vuoto profondo. Non avrei accampato alcuna pretesa… Galliani era felice di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la bocciò, non mi voleva più nello spogliatoio e lo disse al dirigente chiedendo che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata.
“TRA ME E LEI INCASTRO PERFETTO”
Angela è stata paziente con me, a entrare con dolcezza nella mia vita così complessa. Avevo avuto tante relazioni, ma poche storie serie. Quindi sulla vita di coppia avevo molto da imparare. Non sarei credibile se adesso raccontassi che è stato tutto facile o che non ci siano stati momenti cupi. Credo anzi che le difficoltà siano fondamentali per cementare l’unione, per capire che si è pronti ad affrontare la vita insieme. Una storia d’amore non è un viale alberato, tutto dritto e senza buche. È piuttosto un percorso misto, di quelli che sono ancor più affascinanti da esplorare perché dietro a ogni curva c’è una nuova scoperta e quando capita una strettoia, e a noi ne sono capitate alcune, devi rallentare, valutare bene come passare e andare oltre. E rallentando, c’è più tempo per guardarsi negli occhi e trovare un modo per proseguire il tragitto. Così, superata la strettoia, si può di nuovo accelerare e godersi il viaggio. Sono orgoglioso di essermi meritato questo grande amore, esattamente come se l’è meritato Angela. Ed è stata la conferma di quanto avevo già imparato con il calcio: attraverso i sacrifici arrivano le gioie più belle e dolci. E così ci siamo progressivamente adattati l’uno all’altra con semplicità e piacere. Il gusto di stare insieme era talmente bello da cancellare ogni piccola difficoltà. Tutto si è incastrato alla perfezione. Sì, quello tra me e Angela è l’incastro perfetto.
La sofferenza
“SENZA PALLONE HO AVUTO IL MALE DI VIVERE”
Nell’autunno del 2015 per la prima volta il pallone era sgonfio: non rimbalzava più. E non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo, dal profumo dell’erba, dalla sacralità dello spogliatoio. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo, solo per far trascorrere il tempo, riempire la giornata ed evitare che la noia e lo sconforto prendessero il sopravvento. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura. Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Qualcuno lo chiama male di vivere, qualcuno in un altro modo, io ho preferito dribblare definizioni e diagnosi e affrontare la realtà. Ho capito qual era il problema e l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali: hanno compreso ciò di cui avevo bisogno.
Fonte: Gazzetta dello sport.
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