La domanda ci è sorta spontanea, a cavallo degli ultimi due minuti: palla da Quarta a Dodo’, ad Arthur, di nuovo a Quarta. Un timido tentativo verso Sottil, indietro per Milenkovic, poi Quarta. Dodo’, Arthur, ancora Quarta. E così fino al 96′. Salvo poi tentare l’iniziativa personale con Nico Gonzalez: tiro centrale, parato. Perché? Cui prodest? Insomma, è proprio impossibile cambiare? Proprio nel momento in cui la squadra di Italiano avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto, magari gettare il pallone in area, così come capitava (è vero, non c’era più N’Zola, al suo posto poteva salire Milenkovic), ecco che tornano i vecchi difetti: ti-tic, ti-toc, ti-tic, ti-toc, senza mai affondare. Difetti che si ingigantiscono alla luce dei due anni viola dell’allenatore siciliano.
Chiariamo subito: il bilancio di Italiano con la Fiorentina è più che positivo e Commisso ha fatto strabene a confermarlo. Identita’, mentalità, organizzazione, risultati. E poi l’affetto della gente, oltre a due qualificazioni europee e due finali. Però, tra le cose che Vincenzo deve migliorare c’è sicuramente la mancanza di cattiveria, di cinismo, di quel killer-instinct spesso sacrificato sull’altare dello schema. Del fraseggio a tutti i costi. E attenzione, ora non ci sono più i Cabral e gli Jovic a far da paracadute. Non c’è più Amrabat che non sapeva giocare il (al) pallone, che non sa giostrare, distribuire, verticalizzare. Ora c’è N’Zola (inspiegabili gli oltre 80 minuti concessigli), c’è Beltran il predestinato, c’è Nico finalmente senza infortuni. Insomma, non ci sono più scuse. E se anche ci fossero sono meno, molte meno dell’anno scorso. E invece… abbiamo perso, oltre a tutto il primo tempo, anche gli ultimi due minuti. Due lunghissimi e (ahimè) inutili minuti. Importante, ora, è non perdere la qualificazione. Quello si che sarebbe difficile da spiegare.
Editoriale a cura di Stefano Borgi
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