Nel 1994 si tenne la XV edizione dei Campionati del Mondo di calcio: ad ospitarli, gli Stati Uniti d’America. Per la prima volta, la kermesse iridata, creata nel 1930, si svolgeva in un Paese non facente parte della consueta alternanza Sud America-Europa in vigore dalla prima edizione ma si svolgeva in un Paese dove il calcio non era la sport più sentito e praticato dalla popolazione.
Durato da 17 giugno al 17 luglio, i Mondiali americani furono i Mondiali delle prime volte: la prima volta di un Mondiale a 32 squadre; la prima volta dei tre punti assegnati per la vittoria nella fase a gironi; la prima volta di un titolo assegnato dopo i calci di rigore. A vincere fu il Brasile, al quarto success, in finale contro l’Italia dopo, appunto, la lotteria dei rigori. Dopo cinque edizioni, la finale non fu disputata nella capitale del Paese ospitante, ma in un’altra città: Brasile-Italia si disputò al Rose Bowl di Pasadena, in California.
USA ’94 è stato il Mondiale di Roberto Baggio, ma è stato il Mondiale che ha portato la Nazionale di casa a farsi vedere al Mondo: allenata da Velibor Milutinović detto “Bora”, uno specialista nel qualificare Nazionali ai Mondiali e a parteciparvi, la Nazionale “Stars & Stripes” si spinse fino agli ottavi, eliminata dal Brasile. In quella squadra si mise in luce un difensore molto pittoresco: alto, magro, con i capelli lunghi rossi, una fascia tra questi, baffi e “pizzetto” rosso. Si chiamava Panayotis Alexander Lalas, per tutti “Alexi”. Ventiquattrenne all’epoca del Mondiale, il giocatore non passò inosservato e la stagione post Mondiale lo vide giocare addirittura in Serie A, diventando il primo americano a militare nel nostro campionato.
Allora il nostro massimo campionato era molto competitivo (44 calciatori su 736 partecipanti a quel Mondiale militavano in Serie A) e molti presidenti facevano di tutto per accaparrarsi un giocatore forte o un crack, un giocatore magari sottovalutato che invece avrebbe fatto la fortuna di quella squadra. Lalas per due stagioni (dal 1994 al 1996) militò nel Padova.
Nato a Birmingham, in Michigan, Alexi Lalas colpì molto in parte perché il suo Mondiale fu buono e poi per quel suo look scanzonato, da rockstar. Lalas aveva iniziato a giocare…dopo l’hockey su ghiaccio. Negli Usa il soccer (il loro…football) non era professionistico, non era particolarmente seguito e tanti si dilettavano in altri sport: il difensore del Michigan non era stato da meno, tanto da giocare nei Cranbrook Kingswood, una squadra del Michigan. Avrebbe potuto diventare anche professionista, ma non venne selezionato. Era il 1987 e si approcciò al calcio, facendosi vedere anche con un discreto talento. Si iscrisse all’Università di Rutgers, nel New Jersedy, giocando anche nellasquadra universitaria, e rimase fulminato dal calcio. Si fece notare tanto da essere convocato prima in Nazionale e poi essere selezionato per le Olimpiadi di Barcellona.
Eppure il calcio (pardon, soccer) non entusiasmava gli americani perché non erano socceraholic, ma erano –aholic per il baseball, il football, la pallacanestro e l’hockey su ghiaccio. Gli americani scoprirono il calcio alla fine degli anni ’60 e nel 1968 nacque il primo campionato (la NASL) che durò diciassette stagioni (e quattro indoor) e che portò nel Paese alcuni campioni anche se sul viale del tramonto. Uno su tutti Pelé, che per tre anni (1972-1977) militò nei New York Cosmos, lui che giocò sempre e solo nel Santos. Nel 1988 la FIFA assegnò i Mondiali del 1994 agli Usa: un vero colpo per il Paese che piano piano scopriva questo sport.
L’exploit di Usa ’94 aprì la strada a Lalas per l’Europa e l’Italia, lui che fino ad allora aveva giocato solo a livello dilettantistico. A fine luglio, Lalas ebbe tre offerte da Bochum, Coventry e Padova. Il 26 luglio il giocatore arrivò a Padova e, accompagnato dal presidente Sergio Giordani, fece un giro nella città del Santo e si godette l’affetto dei tifosi. Però ad un certo punto, Lalas colse tutti di sorpresa non volendo indossare la sciarpa della squadra biancorossa perché non aveva ancora firmato. La sera stessa riprese l’aereo e tornò a casa. Tutti sbalorditi. Anche il giorno dopo, quando al numero di fax del Padova arrivò la decisione del giocatore di firmare per il club veneto, ponendo sotto la sua firma la scritta “Forza Padova!”. Lalas firmò un biennale e divenne il primo giocatore americano a giocare nel nostro calcio: in passato ce n’erano stati altri tre (Josef Ferrero, Alfonso Negro, Armando Frigo), ma erano italo-americani.
Perché scelse il Padova? Perché la squadra biancorossa si era fatta vedere più interessata di tutte verso lui e mister Mauro Sandreani avrebbe allenato una squadra tornata in Serie A dopo 32 anni (dopo aver vinto il play off promozione contro il Cesena sul neutro di Cremona per 2-1). La squadra veneta avrebbe giocato per la prima volta nel nuovo stadio “Euganeo”, oltre 30mila posti, che avrebbe sostituito lo storico “Appiani”, attivo dal 1924.
Giordani allestì una squadra nel complesso discreta: gli stranieri, oltre a Lalas, erano il croato Goran Vlahovic e l’olandese Michel Kreek uniti a Balleri, Maniero, Galderisi, Perrone e Franceschetti. Eppure la squadra raccolse 0 punti nelle prime quattro partite: il debutto contro la Samp fu da shock, con un 5-0 senza appello. Fino alla quarta la squadra non fece nessun gol e ne incassò dodici. Alla quinta arrivò il pareggio con il Napoli e la settimana successiva Lalas e compagni vinsero in casa 2-0 contro il Milan campione d’Italia e d’Europa in carica. E lo stesso Lalas segnò il gol del vantaggio patavino, il primo gol del Padova in campionato.
Il giocatore del Michigan in stagione siglò tre reti (più un’autorete) e non fece brutta figura nonostante la nostra Serie A allora avesse attaccanti clamorosi. A fine stagione, il Padova giocò un altro spareggio: l’anno prima per salire in Serie A, questa volta per non retrocedere in Serie B. A sfidare i ragazzi di Sandreani, il 10 giugno 1995, sul neutro di Firenze, il Genoa: partita secca, 5-4 dopo i rigori per il Padova e salvezza agguantata.
La stagione successiva fu deludente sia per il Padova che per Lalas: la squadra arrivò diciottesima (ultima), perse 24 partite su trentaquattro, Lalas segnò zero reti e deluse le attese, giocando anche molto poco. Con la squadra in Serie B, Lalas ed il Padova non rinnovarono il contratto ed il difensore classe 1974 prese l’aereo e se ne tornò negli Usa nella MLS giocando fino al 2003 con le maglie dei New England Revolution di Foxborough, dei Metrostars di New York, dei Kansas City Wizards dell’omonima capitale dello Stato del centro Usa e dei Los Angeles Galaxy, oltre ad una stagione in Ecuador con l’Elemec di Guayaquil, in riva all’Oceano Pacifico. Nel 1998, quando militò nei “Revolution”, fu convocato dal CT Steve Sampson per i Mondiali di Francia ’98.
Lalas si è ritirato venti anni fa ma non è mai uscito dal calcio, sedendosi dietro la scrivania di L.A. Galaxy, San José Earthquakes e Metrostars. Si è poi laureato, a anni di distanza dall’iscrizione, alla Rutgers University e spesso fa anche l’opinionista in televisione.
Oggi Alexi Lalas non ricorda più il Lalas degli anni d’oro: non ha più i capelli lunghi, non ha più il pizzo, fisicamente non è come nel 1994, è un manager e ha messo su famiglia. Musicalmente è ancora sul pezzo e calcisticamente il suo biennio italiano è ancora oggi ricordato: allora era un giocatore un po’ punk ed un po’ rockstar che sbarcava in Italia con in una mano la chitarra (non solo metaforicamente) e nell’altra un pallone. Dicevano che avrebbe faticato: sì, ma solo all’inizio per poi prendere per mano la difesa del Padova e portarla ad una salvezza quasi insperata dopo le prime quattro giornate di campionato.
Lalas a Padova è sempre stato contento, anche se era abbastanza distaccato da tutto. Il motivo? Per lui il calcio non era importante: vincere o perdere era uguale, bastava impegnarsi, solo che questo approccio non piacque molto, facendo storcere il naso spesso ai suoi tifosi. Ma era anche uno che festeggiava sotto le curve ospiti senza sapere che non era una cosa da fare o diceva parolacce durante le interviste.
Questo è stato Alexi Lalas: un po’ rock, un po’ punk, un po’ grunge, un po’ alieno, un po’ sui generis rispetto al calciatore tipo. Era easy, tranquillo, rilassato, chilling e girava per la città salutando utti. Due anni padovani molto scanzonati, nonostante suonasse in una band con cui pubblicò anche dei dischi.
Panayotis Alexander Lalas per tutti “Alexi”, prendere o lasciare, take it or leave it. A ritmo di rock come sempre. Sia che vinceva o perdeva.
Articolo a cura di Simone Balocco
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