Scrive Sportmediaset, “I fattori di rischio sono molti. Sicuramente i soldi e un livello d’istruzione medio basso. Poi c’è un altro aspetto: il loro mondo li pone in una situazione di prossimità con le scommesse sportive. Se ne parla continuamente. E sono ragazzi che molto spesso non hanno gli strumenti per affrontare certe tentazioni”. A spiegare la situazione è Paolo Jarre, direttore del Dipartimento di patologia delle dipendenze dell’Asl Torino 3 a cui è stato affidato Nicolò Fagioli per il proprio percorso di recupero.
Il terapeuta ha rilasciato un’intervista a “La Stampa” nel quale ha spiegato le motivazioni che spesso spingono i giovani calciatori a cadere nella rete della ludopatia: “Sono giovani che dovrebbero essere protetti da sè stessi. Essere avvicinati allo studio, accompagnati in attività esterne di carattere sociale. Ricevere stimoli differenti. Io poi ho una mia teoria. Una suggestione, quasi una fantasia. I soldi dovrebbero essere spalmati nel corso degli anni. Così da poter imparare a dare il giusto valore al denaro. I giovani calciatori devono capire che la loro condizione devono tutelarla, conservarla, pensando al futuro – ha spiegato Jarre -. L’immediatezza determina una gratificazione paragonabile a quella di una piccola dose di droga. La comunità scientifica ha messo il disturbo del gioco d’azzardo nello stesso capitolo della dipendenza da sostanze. Per chi sbaglia, la giustizia sportiva si è aperta dei programmi alternativi. Di rieducazione. Ecco, questo credo sia un primo passo importante”.
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