Scrive TMW, l’allenatore dell’Atalanta Gian Piero Gasperini ha rilasciato una lunga intervista a ‘Radio Serie A’. Classe ’58, allena la squadra nerazzurra dal 2016: “La mia storia con l’Atalanta è meravigliosa, spero duri ancora a lungo, abbiamo raggiunto una dimensione importante. Questo è l’ottavo anno sulla panchina dell’Atalanta, in Italia sono l’allenatore più longevo su una panchina. Sono stato agevolato dall’aver trovato un ambiente in cui ci siamo consolidati a vicenda. C’è sempre stato un rispetto totale tra me e la proprietà. Sono cambiati gli obiettivi nel corso degli anni, le difficoltà sono aumentate. Ogni giorno e ogni settimana si affronta una realtà nuova, c’è un avversario diverso, si pensa alla partita da giocare e si riguarda quella precedente. Le settimane passano così e non ce ne si accorge. È tutto molto accelerato, ci sono tante partite e il tempo sembra passare in fretta”.
Qual è la sfida più importante da affrontare ogni giorno?
“È quella di trasmettere qualcosa alla squadra, cercare sempre un allenamento o una situazione che possa dare qualcosa in più alla squadra. Difficile sopportarmi? Il calcio è una materia di confronto, non sempre si è d’accordo ma si possono creare delle basi per crescere e migliorare. Abbiamo diversi confronti, ma qui ho trovato una proprietà fantastica che mi ha sempre lasciato lavorare nel modo migliore. Periodicamente si possono avere visioni differenti, io sono un tecnico della società e faccio valere le mie idee, sempre nel rispetto della proprietà che è quella che, in assoluto, deve decidere. Quanto ho fatto guadagnare all’Atalanta? Non ho mai fatto il conto, ci sono stati tanti giocatori ceduti a grandi cifre. Ho sempre pensato a quello che la società sceglieva, in modo da valorizzare al meglio i giocatori e la squadra. 500 punti nella mia gestione? Sono tanti, soprattutto per una società che per tantissimi anni non aveva superato i 50 punti in campionato. È sicuramente un grande risultato”.
Cosa chiede Gasperini a un nuovo giocatore che arriva nell’Atalanta?
“Quello che io chiedo è di integrarsi immediatamente nel territorio e nella mentalità di questa società. Si chiede essenzialmente grande professionalità e appartenenza, poi c’è l’aspetto tecnico. Gli atteggiamenti sono fondamentali: in questo io e la proprietà abbiamo la stessa visione. Io sono il tramite della società, dobbiamo avere sempre atteggiamenti adeguati a quello che rappresenta l’Atalanta”.
Quali sono i giocatori che ha migliorato di più alla guida dell’Atalanta?
“Penso a quando sono arrivato: c’era una squadra composta da tanti giovani che non trovavano spazio. Di questi sono stati venduti poi Caldara alla Juventus, Gagliardini e Bastoni all’Inter, Kessie e Conti al Milan. Questo già al primo anno, poi c’è stata un’evoluzione di alcuni giocatori che sono rimasti qua per tanti anni: basti pensare a Toloi e De Roon e ci si può rendere conto di quanto siano migliorati a livello di rendimento”.
Che città è Bergamo?
“È una città a misura d’uomo: non è molto grande, si vive di cose semplici. Senti il calore della gente anche se non è esasperatamente manifestato perché c’è grande discrezione. L’amore si sente, la felicità di grandi risultati traspare sempre. Se ti cali in questa dimensione vivi molto bene, ti senti protetto”.
Sul Covid-19: “Bergamo è stato il primo grande focolaio. C’è stata una reazione fantastica da parte di tutta la gente nonostante le difficoltà. All’inizio non si capiva: quando siamo andati a Valencia siamo stati trattati come portatori di un’infezione locale, soltanto dopo si è capita la portata del virus. Tante famiglie hanno perso dei cari prematuramente, è un dolore che non si cancellerà mai, però la reazione della gente a distanza di qualche anno mi sembra positiva: c’è una voglia di fare sempre di più. Se ho avuto paura? Sì, anche se all’inizio non ci si rendeva conto del pericolo: era un nemico subdolo. Qui si sentivano sirene ogni tre minuti, gli ospedali erano stra colmi. Era una novità, non si sapeva cosa fare. La paura c’era così come un po’ di incoscienza, sembra fantascienza a pensarci ora. Si arrivava al campo già cambiati e ognuno doveva usare un solo pallone, eravamo tutti con le mascherine. Si facevano allenamenti individuali, con i fisioterapisti che pulivano ogni pallone. Le prime mascherine che ci sono arrivate le hanno calate da un elicottero in mezzo al campo. È stato un periodo durato qualche mese, però è stato veramente devastante. Non sapevamo se il calcio sarebbe proseguito o meno: c’erano tanti disfattisti, ma devo dire che la Federazione è stata molto brava nella gestione. Il calcio ha aiutato anche le persone a ritrovare il sorriso, tutto è ricominciato nel miglior modo possibile: è bello vedere ora gli stadi pieni”.
Su Josip Ilicic: “Si è ammalato qua, anche se tutti eravamo separati, mangiavamo distanti rispettando le regole. A un certo punto ha incominciato ad avere i sintomi, a non stare bene, da lì si è completamente isolato, è stata una progressione. Non sopportava più di non essere a casa, la lontananza dalla famiglia. Da lì è partita la sua difficoltà. Noi gli siamo sempre stati vicini, lui era un ragazzo assolutamente normale, era sempre lui ma con questa grave difficoltà. Lui aveva finito a Valencia, aveva fatto quattro gol. Lui forse era il giocatore indicato come fra i papabili del Pallone d’Oro, sicuramente fra i primi in Europa. Ricordo che dovevamo andare a giocare a Lisbona, contro il Paris Saint Germain, aveva perso qualcosa come 10-12 kg. Era impressionante, l’ho tirato su come un manichino, gli ho detto ‘Dai Josip, vieni con noi…'”.
Su PSG-Atalanta: “È stato il momento più alto della mia carriera a livello di risultato, ci sono stati momenti validi come espressione di gioco. Eravamo a 2 minuti da una finale di Champions League. Per come era andata la partita sarebbe stata meritata. Nel secondo tempo è entrato Mbappe: lì è cambiata la partita. Eravamo stati fortunati in un paio di occasioni, ma sembravamo in controllo del match. Nei minuti finali, invece, abbiamo perso Freuler e abbiamo cambiato qualcosa a centrocampo. Con lui in campo sono sicuro che sarebbe stato seguito l’inserimento che ha portato al gol del PSG. Avevamo perso Gomez, mancava Ilicic, però siamo stati vicinissimi a quella semifinale. Da una parte è un rammarico, dall’altra è giusto accettare il risultato di una grande squadra. Tifavano tutti per noi? Eravamo la “piccola squadra” che di colpo si era ritrovata al tavolo con i grandi. Il campo ti dà sempre la possibilità di dimostrare il tuo valore, anche perché per una società come la nostra salire di livello è difficile”.
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