di Stefano Borgi
Vi ricordate dell’hombre vertical? Dicesi “hombre vertical” un uomo tutto d’un pezzo, con la schiena dritta, verticale… appunto. Che non si piega e non si spezza. Tale definizione fu appiccicata, a cavallo degli anni 2000, ad Hector Cuper, allenatore argentino, due anni all’Inter, il classico perdente di successo. Due finali Champions perse col Valencia, uno scudetto già vinto (poi però perso) con l’Inter, un paio di semifinali europee (sempre con l’Inter), lottate, combattute, ma ahimè… irrimediabilmente (ed immeritatamente) perse. Eppure Cuper era un uomo con una sola parola, che non cambiava mai idea, apprezzato e detestato proprio per questo. Vincenzo Italiano, pur senza raggiungere il parossismo del buon Hector, si può anch’esso definire un “hombre vertical”: nessuna deroga alla difesa a 4, pressing alto, squadra (se possibile) ancora più alta, possesso palla fino allo sfinimento, gioco che si sviluppa al 90% sugli esterni. Con tanti saluti ai rifornimenti per gli attaccanti. Contropiedi? Zero. Ripartenze? Zero. Imbucate centrali? Zero. Cross in mezzo all’area per la testa del centravanti? Zero. L’attaccante, come disse qualcuno, è lo spazio, e questo si riempie (Italiano dixit) con un fitta rete di passaggi finché non si arriva in porta col pallone. Eppure, contro la Salernitana, si è visto qualcosa di diverso: i difensori che calciavano lungo, Beltran che (un paio di volte) si lancia sul filo del fuorigioco, lo stesso “vikingo” che viene cercato e servito palla a terra al limite dell’area, alla ricerca di un’imbucata, di un triangolo, di (perché no?) un tiro da fuori. Ora, definire la Fiorentina un “equipo vertical” (come si legge nel titolo), è un pochino presto, però se vogliamo mettere a reddito i 25 milioni di Beltran (ed anche gli 11 di N’Zola) la strada è oramai tracciata. E al terzo anno in viola, Italiano può anche trasformarsi in un “hombre lateral”.
Non solo lanci profondi e verticalizzazioni improvvise nel 3-0 contro la Salernitana, ma anche tanta tecnica, tanta qualità, soprattutto nei piedi di Arthur e Beltran. Intanto il brasiliano ha dimostrato (tanto per restare alla geometria) di non essere solo un calciatore orizzontale. Ovvero, gestione della palla a coprire il campo in largo ma anche in lungo, con improvvise accelerazioni a puntare la porta, come il rigore preso e poi realizzato da Beltran, assist dentro l’area a cercare l’inserimento offensivo, addirittura un tiro parato dall’eccellente Costil. E a proposito di Beltran: difficile che sbagli un primo controllo (solo a San Siro è successo, ma come ha fatto?) rapido nel girarsi verso la porta, geniale ed altruista nell’assistere i compagni che attaccano la profondità… vedi il rigore di Arthur. Insomma… come diceva il barone Liedholm: “tu fai correre la palla che quella non suda”, e poi “finché il pallone ce l’abbiamo noi gli altri non possono segnare”. Anzi, se poi lo stesso pallone ce l’hanno Arthur e Beltran, è facile che accada il contrario.
La conclusione è dedicata a Riccardo Sottil. Standing ovation per il gol (favorito, invero, da una marcatura a dir poco allegra), applausi per l’intera prestazione (suo anche l’assist vincente per Bonaventura) qualche mugugno invece per il dito portato al naso dopo la splendida segnatura. A zittire il pubblico. Allora… a parte che, nel dopo gara, Sottil si è scusato (e non è poco), e poi… vogliamo gettare la croce addosso ad un ragazzo di 24 anni, che viene da un anno di stenti ed infortuni (leggi operazione alla schiena), se per pochi secondi (veramente pochi) gli scappa il ditino e si toglie qualche sassolino dalla scarpa? Anche no! E mutando un capolavoro di Lucio Battisti cantiamo “(tifoso viola) prendila così, non possiamo (e non dobbiamo) farne un dramma”.
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