Articolo a cura di Francesco Rossi
Da tanti anni a questa parte ormai, nella nostra amata Serie A, c’è un calciatore per cui faccio il tifo più degli altri. Si chiama Domenico Berardi. Domenico, o per meglio dire “Mimmo”, mi sta simpatico perché non gioca e non ha mai giocato in nessuna delle squadre più ricche del campionato, ma anche perché la sua carriera da professionista si è consumata finora tutta con la solita maglia e, infine, perché i due avvenimenti più importanti della sua vita da calciatore (l’approdo in una squadra professionistica e la vittoria ad Euro 2020) sono stati frutto di itinerari stranissimi e inconsueti, come in una favola.
Forse chi segue in maniera sporadica il calcio italiano non saprà che Domenico è un ragazzo calabreseche, quando era ancora un minorenne, giocava in una squadretta insignificante in provincia di Cosenza, il Castello. Tuttavia, non tutti sanno che Domenico aveva un fratello più grande, Francesco, che frequentava l’università a Modena e che lui, di tanto in tanto, andava a trovare attraversando l’Italia in treno. Proprio in occasione di una di queste visite, il fratello di Domenico organizzò una partita di calcetto in cui, fra i partecipanti, segno del destino, c’era un allenatore delle giovanili del Sassuolo, squadra di serie B. L’allenatore rimase estasiato dalle qualità di Domenico, e, dimostrando grande fiuto da talent scout fece buttare nel cestino al ragazzo il biglietto del treno di ritorno, invitandolo ad un provino in una delle squadre giovanili della società neroverde.
Provino superato, Domenico tesserato, e il Sassuolo si trovò così in squadra quello che, nel giro di un paio d’anni, sarebbe diventato l’attaccante più forte in assoluto della società emiliana.
I gol di Domenico Berardi (140 in 365 presenze, ad oggi) hanno infatti, trascinato il Sassuolo in serie A, nel 2013, e poi hanno scritto le pagine più belle di questa squadra di provincia nella massima serie, in un ininterrotto ciclo di salvezze tranquille e piazzamenti di prestigio con tanto di qualificazione in Europa League nella stagione 2016/2017 (grazie anche alla guida tecnica di Eusebio Di Francesco, attuale allenatore del Frosinone).
Di solito, i giocatori di talento come Domenico restano nella squadra di provincia che li ha lanciati per due, massimo tre stagioni, e poi spiccano il volo verso “miglior acque” (come disse Dante una volta approdato ai piedi del Purgatorio) per andare a conquistarsi un contratto più ricco in una squadra più ambiziosa. Perché invece Berardi è rimasto al Sassuolo per dieci anni consecutivi, dalle giovanili fino a oggi? I più maliziosi risponderanno: “perché è un mezzo giocatore”; perché è bravo ma incostante, e poi è una testa calda, uno che protesta sempre, che una volta a San Siro con l’Inter si fece espellere e prese 7 giornate di squalifica facendo uno show da fuori di testa con arbitro e avversari.
Messa così, però, sembra la storia di un ragazzaccio istintivo, irruento, ma anche passionale ed ingenuo. Ed in effetti, le stroncature sopracitate corrispondono a verità. Però non bastano a giustificare il fatto clamoroso di un attaccante fortissimo, che ha sempre segnato e fatto segnare con regolarità in serie A (è dalla stagione 2013/14 che supera la doppia cifra tra gol e assist, praticamente da 10 anni di fila!), che non ha mai avuto gravi infortuni (se non uno stiramento del legamento nella stagione 2016/17) e che pure è rimasto sempre in una squadra di provincia. Una costanza fuori dal normale che gli ha permesso di coronare il sogno di giocare in nazionale maggiore.
Infine, la storia di Berardi bandiera del Sassuolo è anche una storia in cui la parola riconoscenzaha ancora un valore forte. A volte è stato il ragazzo a rifiutare sul più bello il trasferimento in una grande squadra, come quando nel 2018 Domenico smise di rispondere al telefono del suo procuratore che aveva già avviato una cessione alla Juve, in modo da far terminare la finestra di calcio mercato e restare a Sassuolo a dispetto della logica e delle previsioni.
Da osservatore attento della serie A, ho visto Berardi migliorare molto negli ultimi anni. Il suo ruolo non è mai cambiato: ala destra nel tridente d’attacco (la stessa posizione che ricopre in nazionale, ruolo nel quale darà un forte contribuito alla vittoria dell’Europeo del 2021), ruolo ideale per valorizzare al massimo il suo piede sinistro sopraffino, partendo dalla linea del fallo laterale e poi accentrandosi per scagliare in porta dei diagonali spesso imprendibili. Mancino fondamentale anche dagli 11 metri: 52 sono infatti i rigori segnati ed 8 quelli sbagliati.
Al suo fianco in questi 10 anni si sono alternati tanti centravanti: da quelli più fisici, come Matri, Zaza e Pinamonti, a quelli più leggerini e di movimento, come Defrel e Caputo. E, seppur avessero caratteristiche diverse, Berardi è sempre riuscito ad adattarsi ai suoi compagni di reparto e a sfornare assist, cross, sponde e gol di fondamentale importanza per gli emiliani.
Negli anni Domenico è migliorato non solo a livello di testa (più concentrato, meno polemico, più pronto ad aiutare i compagni in fase difensiva) ma anche a livello tecnico: nelle ultime stagioni è riuscito a “raffinare” anche il piede più debole, il destro; cosa che lo rende più imprevedibile e difficile da marcare (basti pensare al recente gol siglato contro l’Empoli alla 13^ giornata di Serie A in quel rocambolesco 4-3 deciso proprio dal destro al volo di Mimmo).
E poi nelle ultime stagioni i mister del Sassuolo, prima De Zerbi e poi Dionisi (il quale gli ha anche conferito la maglia numero 10, per suggellare la sua importanza in questa squadra), gli hanno insegnato a svariare per tutto il fronte d’attacco, pur partendo da destra, per partecipare anche a triangolazioni e giocate di prima nello stretto.
La storia di Berardi fa sognare i tifosi come me perché dimostra che anche le squadre meno ricche della serie A possono regalare a un calciatore il palcoscenico più importante. E che le squadre con meno possibilità economiche, se ben organizzate, possono andare oltre il solito ruolo di trampolino di lancio per giovani calciatori, ma possono diventare degli ambienti dove chi non è affamato di soldi facili e vive la sua squadra di calcio come una seconda famiglia può scrivere un’epopea romantica e controcorrente, arrivando a giocarsi anche traguardi importanti nel bel mezzo di una carriera tutta spesa indossando una maglia strana che la maggior parte delle persone non sa nemmeno riconoscere.
L’autore di questo approfondimento ha svolto il Corso di Alta Formazione in Giornalismo calcistico ed Uffici Stampa presso l’Élite Football Center.
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