di Stefano Borgi.
Partiamo dalle cose che sono andate: innanzitutto l’anima. Lo avevamo scritto la settimana scorsa: la Fiorentina di Italiano non molla mai. A volte va male (vedi Bergamo in Coppa Italia, e non solo…), altre va bene. La ricerca della vittoria fino all’ultimo è uno dei tratti distintivi della gestione di Italiano, e stavolta ha pagato. Poi: il gol di Belotti (e anche quello di N’Zola). Hanno segnato i centravanti, vivaddio. E Dio sa quanto bisogno dei gol delle punte ha la Fiorentina. Particolarmente gradito il 3-2 dell’angolano (a parte per motivi prettamente numerici), soprattutto perché fin da subito (da quando è entrato) è apparso pugnace, reattivo. Pur avendo pochissimi minuti a disposizione. Anche perché, dall’altra parte, il brasiliano Thiago (simile a Balan per caratteristiche e struttura fisica) stava facendo il bello ed il cattivo tempo, ed il paragone col “nostro” sarebbe stato vieppiù impietoso. Infine: questo mostro a tre teste di nome Club Brugge non è sembrato così mostruoso. Certo, i belgi sono forti fisicamente, con un paio di elementi sopra la media (uno di questi, appunto, Thiago), ma debole, debolissimo in difesa. Il tutto in ottica della partita di ritorno nella quale gli spazi saranno più ampi ed i viola dovranno affondare, e non potranno accontentarsi dell’esiguo vantaggio dell’andata.
COSA NON È ANDATO: la condizione dei tre tenori viola: Arthur, Bonaventura, Nico Gonzalez. Nessun appunto sull’impegno dei singoli (in particolare Nico si è sbattuto come non mai in entrambe le fasi), parecchi appunti invece sull’efficacia delle loro azioni. I tiri in porta, per esempio: Nico, nel primo tempo, ha avuto due possibilità, entrambe sul mancino. Risultato? Alti sulla traversa. Un calciatore strapagato (di cartellino e di ingaggio) come lui, non può mancare i pali da quella posizione. Deve incidere, deve decidere. Poi, fare gol, è un’altra cosa, ma lo specchio… Riguardo agli altri due, che prima di Natale ci avevano trascinato al quarto posto in classifica, si tratta di motivazione, condizione, preparazione fisica? Non sappiamo, fatto sta che il loro rendimento è sotto il 50%, e senza di loro la Fiorentina diventa una squadra poco più che normale. Altra cosa che non è andata, il rendimento dei difensori, gli errori individuali. Oramai un must. Serataccia per Ranieri, colpevole (a livelli diversi) sia nel primo che nel secondo gol del Brugge, serataccia per Dodò sulla cui zolla (soprattutto nel primo tempo) i belgi hanno ballato liberamente, saratuccia per Quarta che si è fatto vedere poco davanti e dietro ha manifestato le solite incertezze. Temiamo che il problema sia endemico, congenito, per questo insormontabile. L’augurio è di ridurlo al minimo, e che al ritorno gli attaccanti viola siano più bravi dei difensori.
NE CRESCE UNO: spiace dirlo, ma tra Bonaventura e Beltran uno è di troppo. Se vogliamo schierare una Fiorentina più equilibrata. Se, invece, vogliamo andare all’arrembaggio anche tra sette giorni, rischiando il rischiabile, allora… Siamo a fine stagione e possiamo dirlo con certezza: Beltran non è un trequartista. Lo può fare, dall’alto della sua valenza tecnica, ma non lo è. Quello che spicca è che l’argentino tocca pochi palloni, è poco coinvolto nella manovra. Insomma, a certi livelli in quella posizione, è un lusso. Diverso il discorso per Bonaventura che, troppo leggero (e troppo dispendioso fisicamente) il ruolo di centrocampista nei due, può dire la sua (come lo ha già detto più volte in questa stagione) dietro le punte. In quella posizione aiuta l’attacco ma anche il centrocampo, permettendo l’inserimento di un altro centrocampista di contenimento al suo posto. Non ce ne voglia Beltran, lui è una seconda punta, un Baiano 2.0, al servizio del centravanti di turno. Non altro. Non resta che aspettare la prossima stagione ed un altro allenatore che lo valorizzi, ma per ora la carta Bonaventura si fa preferire. Per equilibrio, per personalità, per presenza in zona gol. La partita è aperta, 60 e 40, serve l’ultimo sforzo.
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