«Le strategie di gioco? Spesso venivano discusse in sartoria durante la prova degli abiti». L’ex sarto Annibale Piras ricorda i campioni del Cagliari. Per undici anni, tra il 1967 e il 1978, ha vestito i grandi nomi del calcio isolano. Nasce a Carbonia nel 1942, ma dopo qualche anno va a vivere a Siliqua. Erano tempi duri, e dopo aver terminato gli studi nella scuola elementare, inizia a lavorare. L’ago e il filo gli sono stati messi in mano all’età di undici anni, in una sartoria di Siliqua, dove apprende i rudimenti del mestiere. A 14 anni giunge a Cagliari per lavorare nel laboratorio di un sarto napoletano. Qui, per sei anni, apprende tutti i trucchi del mestiere e si perfeziona, poi parte per il servizio di leva.
L’incontro con il mondo del calcio avviene quando finisce il servizio militare in una sartoria di via Sonnino, dove riprende il suo vecchio mestiere. «Tra i clienti della sartoria spiccavano i nomi d’importanti calciatori del Cagliari, tra cui Franco Rizzo, Gigi Riva, Pierluigi Cera, Sergio Gori, Nenè, Ricciotti Greatti e Giuseppe Tomasini», ricorda. Dopo qualche anno arriva la grande occasione: il proprietario della sartoria decide di passare il testimone ad Annibale Piras: «Dopo aver rilevato l’attività, ho ampliato il giro d’affari grazie anche alla puntualità nella consegna dei vestiti, il precedente titolare era bravissimo a trovare clienti, ma era spesso in ritardo con i lavori – spiega – Con la nuova gestione ho mantenuto come clienti i calciatori che frequentavano la sartoria. Riva a volte arrivava mentre mia moglie Mariella stava cucinando, ma non è mai rimasto a pranzo. L’ungherese Géza Boldizsar era l’allenatore della Primavera del Cagliari, e quando arrivava, esclamava scherzosamente “Ciao calzolaio!”, io rispondevo “Ciao jugoslavo!” per farlo arrabbiare, poi gli offrivo un bicchierino di vernaccia di Solarussa».
Il via vai degli sportivi era costante, e spesso parlavano di tattica calcistica. «Se io ti passo la palla, dopo trenta metri me la ridai, altrimenti devo tornare indietro per riprenderla». Annibale Piras ricorda ancora i discorsi tra compagni di squadra. «Era un gruppo molto unito – aggiunge – plasmato dall’allenatore Arturo Silvestri. Manlio Scopigno lasciava più autonomia e libertà. Questo, probabilmente, li ha resi più consapevoli portandoli a vincere lo scudetto». Per questi campioni l’immagine era importante, sceglievano con cura i tessuti e seguivano le mode: «In quel periodo si usavano colori sgargianti e abiti aderenti. Gigi Riva una volta era venuto a provare i pantaloni, ma essendo molto aderenti si era dovuto sdraiare sul letto per sfilarli – ricorda – poi, al rientro dal Messico, la moda era cambiata e richiedevano nuovi abiti con i pantaloni stretti fino al ginocchio per poi allargarsi a zampa di elefante, fino a coprire la scarpa».
Nella sartoria, ormai, si era creato un clima familiare e ad Annibale Piras non mancavano mai i biglietti in tribuna per le partite: «Quando Riva era ambito dalla Juventus, gli chiesi se pensava di passare all’altra squadra, mi rispose: Io preferisco rimanere con il Cagliari, ma sono un professionista, se mi cedono devo andare. Poi sappiamo come è andata. E pensare che appena arrivato voleva andarsene, giungendo dalla Lombardia la Sardegna sembrava un luogo sperduto, ma poi si era fatto tanti amici ovunque»
«Nel dicembre del 1971 morì mio figlio Roberto, aveva solo tre mesi – racconta l’ex sarto – Tomasini passò per ritirare un abito e apprese la notizia. Rientrò nella foresteria a Genneruxi e riferì ai suoi compagni di quanto successo. Poco dopo mi chiamò Riva e mi disse: “Sono qui con Cera, se hai bisogno di qualcosa noi ci siamo, non devi preoccuparti”. Riva era un vero signore, in campo e nella vita». Nel 1978 le botteghe dei sarti entrano in crisi. «Cercai un altro lavoro – conclude Annibale – rientrai a vivere a Siliqua, e finii per andare a lavorare in fabbrica, a Macchiareddu. Persi di vista la maggior parte di loro, solo Tomasini ancora lo incontro di tanto in tanto, ma conservo un bellissimo ricordo di quegli anni trascorsi a Cagliari, a cucire abiti per i miei idoli».
Fonte: L’Unione Sarda
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