di Stefano Borgi
Due premesse: la sovrapposizione mercato-campionato è una delle più grandi iatture del calcio italiano. E la Fiorentina la sta pagando oltre misura. Seconda, non abbiamo ancora visto Gudmunsson: il calciatore più atteso, il più costoso, colui che sostituirà Nico Gonzalez. Ah, ce ne sarebbe anche una terza: la Fiorentina, nonostante tutto, su cinque partite ufficiali disputate non ha ancora perso. Qualcuno potrà dire: ma non ha neppure vinto, e con i tre punti… Ma che ci volete fare? Noi guardiamo il bicchiere mezzo pieno. E poi, in ogni caso, il passaggio in Conference vale come una vittoria.
Detto questo, contro il Monza abbiamo visto una cosa che non vorremmo più vedere: la difesa a tre. Ed ancora peggio, Biraghi difensore in una difesa a tre. Qualcuno disse che l’allenatore più bravo è quello che fa meno danni. Ecco, Biraghi in quella posizione non solo è un danno, è una tragedia sportiva. Per sé stesso e per i compagni. Va da sé che Biraghi difensore non è l’unico problema (qualcuno un giorno ci dirà perché debba sempre giocare, anche palesemente fuori ruolo) ma quella sensazione di paura, di terrore, di perenne incertezza della difesa viola nasce proprio da un equivoco tattico. I calciatori sembrano disorientati, sembrano non fidarsi l’uno dell’altro, sembrano (e questa è la cosa peggiore) non crederci. Sembrano dire: o torniamo a quattro dietro o noi non ci stiamo.
E questo ci porta al tema centrale del nostro scritto: il talebanesimo, ovvero (nel caso specifico) persistere in errori che nascono dalla ceca ed assoluta convinzione nelle proprie idee. Soprattutto se sbagliate. E non lo diciamo noi, lo dice la realtà. A proposito, ricordate Paolo Sousa? Veniva dopo tre anni di Montella, tre quarti posti, tre stagioni semplicemente spettacolari. Cosa fece il portoghese? Proseguì sulla strada del tenico napoletano, senza stravolgere schemi e posizioni. Al massimo si concesse il tre e mezzo in difesa, con Alonso a fare la spola tra difesa e centrocampo. Soprattutto fece pochissima preparazione fisica. Noi eravamo a Moena e su quei percorsi montani, dove gli uomini di Prandelli e Montella spendevano fino all’ultima stilla di sudore, quelli di Sousa non ci andarono mai. Solo partitelle e sedute tattiche. Si disse che erano allenamenti basati più sull’intensità che sulla fatica. Risultato? La Fiorentina partì a mille e Sousa conquistò da subito (oltre a punti e vittorie) critica e tifoseria. Esattamente quello che avrebbe dovuto fare Palladino. Ed invece assistiamo ad una squadra lenta, imballata, a tratti pachidermica. Diciamolo pure: una squadra “ferma” che assiste inerme alle incursioni avversarie.
Comunque: riprendendo il nostro incipit dobbiamo ancora vedere Gudmunsson (oltre al difensore argentino Moreno), e poi diamo tempo ai nuovi d’inserirsi, aspettiamo che Palladino capisca i propri errori, che adatti il modulo ai calciatori. E non il contrario. E tutti insieme diciamo: benedetta sosta…
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