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Blanchard oggi lavora in un negozio: “Hanno provato a farmi uscire di testa. Carpi? Non so ancora oggi cosa sia successo”

Blanchard oggi gioca in Promozione e lavora in un negozio di abbigliamento

Scrive FanPage, Leonardo Blanchard ha 35 anni e sta proseguendo la sua carriera nel mondo del calcio nel campionato di Promozione tra le fila del Belvedere. Il gol segnato alla Juventus quando vestiva la maglia del Frosinone nel 2015, rimarrà per sempre impresso nella sua memoria. Il difensore toscano, intervistato da Fanpage.it, tifoso da sempre dei bianconeri, ha raccontato le tappe della sua vita calcistica. Al club laziale sono legati i momenti migliori della sua carriera ma dopo il trasferimento al Carpi tutto è cambiato drasticamente: “Hanno iniziato a farmi mobbing”.

Un’esperienza negativa per Blanchard che ha poi deciso di lasciare il calcio professionistico praticamente all’apice della sua carriera. “Al momento della decisione di rescindere col Carpi ero stanco, avevo solo voglia di fermarmi”. Da lì di fatto ha iniziato una nuova vita lavorando nel negozio d’abbigliamento di famiglia a Grosseto ritrovando la serenità che cercava: “Per me il calcio è stato un mezzo di guadagno e non uno stile di vita”. Solo grazie al Belvedere oggi, tra i dilettanti, ha ritrovato la voglia di correre e giocare di nuovo sul rettangolo verde.

Dal gol a Buffon in Juve-Frosinone al Belvedere in Promozione: cosa è cambiato in questi 9 anni?
“È cambiato soprattutto il mio stile di vita, sia a livello caratteriale che lavorativo. Una volta vivevo per il calcio come fanno i professionisti, adesso è cambiato l’obiettivo primario. Sicuramente faccio una vita più normale di quella di un calciatore”.

Sui social hai una foto con Pogba.
“Ci scambiammo la maglia con lui, in quello scatto eravamo al controllo antidoping nella partita di ritorno della stagione 2015/2016. Proprio in quella partita poi, a fine primo tempo, a Buffon chiesi la maglia e lui mi disse: ‘Dopo la settimana che ci hai fatto passare all’andata il minimo che possa fare è prendere la tua maglia e darti la mia’. Fu una soddisfazione, lì capisci anche i campioni veri”.

L’hai mai più sentito?
“No, loro no. Ma ho diversi amici con cui tutt’ora vado in vacanza e che hanno giocato in Serie A tanti anni. Durante la mia carriera ho fatto amicizia solo con “non calciatori” come li chiamo io, ovvero quelli che fuori dal campo erano persone normali”.

Il calcio giocato però a un certo punto non ti è più piaciuto.
“Ho visto tutto il cambiamento calcistico a cavallo tra le vecchia generazione di calciatori e quella attuale. In quegli anni giocavano con un altro tipo di visione, si sognava di fare gol davanti a milioni di persone e non si andava in campo solo per i soldi. Ora il giovane sogna di diventare ricco, ed è questo il cambiamento che c’è stato”.

È stato uno dei motivi che ti ha portato a smettere?
“Mi sono allontanato quando ho visto come stava cambiando il calcio e me ne sono accorto mentre giocavo. Per me è stato un mezzo di guadagno e non uno stile di vita per questo non mi sono mai sentito superiore agli altri perché giocavo a pallone. Ho sempre pensato ad altre cose: godermi la vita, la natura, la famiglia, le amicizie e svegliarmi la mattina e cercare di sorridere nei confronti della vita in generale”.

Il calcio ti ha deluso?
“Molto, mi ha deluso molto il calcio. Purtroppo è un sistema che ti trasforma in un numero e quando quei numeri non li rendi più o hai una difficoltà, la gente ti lascia solo. Io dopo un anno di Serie A mi sono ritrovato al Carpi in Serie B dove senza un motivo apparente hanno iniziato a farmi mobbing. Mi hanno comprato tenendomi lì senza farmi fare una partita cercando in tutti i modi di farmi uscire di testa e lì mi hanno spezzato completamente”.

Era il Carpi di Giuntoli.
“Sì, fu Giuntoli a volermi a Carpi. Parlai al telefono con lui ma poi non l’ho mai più sentito e ancora oggi devo capire che cosa sia successo in quella situazione. Tutto degenerò in maniera talmente veloce che dovetti provare a trovare una soluzione”.

Cosa accadde dopo?
“Andai a Brescia e poi ritornai a Carpi, ma non mi volevano in ritiro. Non c’era un motivo, nonostante mi pagassero. Avevano un ragazzo come miglior difensore del campionato di B e che in Serie A aveva fatto una buona annata ma non hanno voluto reinserirmi all’interno della rosa e non so ancora oggi cosa sia successo, tra l’altro all’apice della mia carriera. Dopo quasi 10 anni me lo chiedo ancora, magari un giorno lo scoprirò”.

Quando è arrivata la decisione di smettere?
“Ricordo che andai ad Alessandria e giocai poco per via di un infortunio. Ero di proprietà del Carpi che voleva rimettermi fuori rosa. Decisi così di rescindere il contratto chiedendo espressamente alla società di non darmi un euro. Alla fine però il mio procuratore e il club capirono che non era giusto e mi diedero una buonuscita”.

Ti sei sentito libero?
“Al momento della decisione della rescissione ero stanco, avevo solo voglia di fermarmi. Ho avuto altre offerte in corso ma non le ho mai prese in considerazione. Ero veramente deluso e stanco. Non penso sia stata colpa di Giuntoli, ma in generale della situazione Carpi”.

A quel punto hai cominciato a lavorare nel negozio d’abbigliamento di famiglia.
“Qui vengono a vestire i miei nuovi compagni di squadra e tanta altra gente. Più che altro ho riscoperto nel negozio di famiglia la felicità di vivere in un altro modo. Ho avuto la possibilità di trovare la serenità”.

Oggi hai ripreso a giocare al Belvedere in Promozione: cosa ti ha convinto a ripartire?
“Per sfizio a cena un mio grande amico mi propose di andare a giocare per questa società dilettantistica che si allenava in un bel centro sportivo. La prima volta dissi di no. La seconda volta ci parlai, andai a vedere il posto. Mi offrono una cifra che magari offrono a professionisti e dopo aver visto quel posto meraviglioso, con una società fatta di gente in gamba, decisi di riprovare. Devo dire che mi sto trovando molto bene riscoprendo il gusto di giocare a calcio”.