Il soccorritore racconta quegli attimi di terrore vissuti al Franchi
Quei primi attimi di terrore hanno scatenato tensioni, proteste, risentimento. Ma chi domenica pomeriggio era in prima fila nei soccorsi sanitari allo stadio rivendica l’eccezionale lavoro fatto per salvare la vita di Edoardo Bove: dal defibrillatore, fissato fin dai primi istanti al petto del giocatore, all’ambulanza che non entrando sul terreno di gioco ha evitato di affondare nel terreno molle, fino al trasporto a Careggi, durato appena sei minuti.
Dagli spalti, domenica, erano partite le polemiche per l’ambulanza che non si muoveva, in attesa che la barella arrivasse. In campo, alcuni giocatori viola se l’erano presa con il mezzo e con i soccorritori per invitarli a fare in fretta.
«Ma le procedure sono state seguite alla lettera: l’ambulanza non può entrare in campo perché affonderebbe e rimarrebbe impantanata. In altri stadi hanno a disposizione i caddy, ma a Firenze non serve. Non siamo all’Olimpico dove c’è la pista d’atletica e le distanze sono grandi, qui l’ambulanza è a un passo dal terreno di gioco», rivendica uno dei soccorritori che era in prima linea al Franchi. Anzi, aggiunge, «la velocità dell’assistenza è stata decisiva: già sin da dentro il campo il medico ha attaccato sul petto di Bove i due elettrodi del defibrillatore».
Il calciatore era già in arresto cardiaco al Franchi? «No, era ancora lucido e parlava quando è stato caricato sull’ambulanza. Ma si tratta di un defibrillatore automatico Dae che interviene subito in caso di aritmia. Così quando sull’ambulanza ce n’è stato bisogno si è attivato immediatamente. E Bove all’arrivo a Careggi era già di nuovo cosciente».
Il soccorritore rivendica poi che «il trasporto Franchi-Careggi è durato sei minuti, merito di procedure dedicate agli eventi allo stadio che prevedono la scorta a sirene spiegate della polizia municipale».
Per chi era in prima linea e si è visto insultato da parte dei giocatori — uno dei quali avrebbe anche spaccato un faro dell’ambulanza — non è il caso però di prendersela con loro: «Erano sconvolti, va capito il momento».
Prospettiva diversa per chi si doveva occupare dei soccorsi sugli spalti. «In Maratona il pubblico protestava perché l’ambulanza non entrava in campo, lanciando insulti senza alcuna competenza in materia — racconta un secondo soccorritore — Poi, visto che avevo la pettorina gialla, una volta che Bove era stato portato via, in tanti hanno cominciato a chiedermi che cosa fosse successo. Ma io da lassù non potevo saperlo, così a decine se la sono presa con me, “se hai quella divisa devi per forza sapere, altrimenti sei inutile”, mi dicevano».
Il soccorritore ha perciò lasciato gli spalti: «Sembrava di essere in guerra, ho riparato nell’ambulatorio. E anche lì chi passava mi ricopriva di insulti e minacce». Poi, l’uomo pensa ai colleghi che erano in campo. E dedica loro grandi complimenti: «Tra chi dava spintoni e chi sottraeva il materiale di soccorso, non so se avrei avuto il sangue freddo per riuscire a portare via quel ragazzo in appena 4 minuti». Lo scrive il Corriere Fiorentino.
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