I gol, la fama e lo scudetto con la Juve: poi il crollo emotivo lo costringe al ritiro | “Avevo paura della gente”
Stava diventando un campione affermato e vinse anche con la Juve. Ma da lì in poi, buio totale. Non si è più ripreso.
Nel mondo del calcio, la carriera di un giocatore può sembrare un sogno, ma non è sempre tutto oro quello che luccica. Alcuni calciatori, nonostante abbiano raggiunto l’apice del successo, hanno vissuto crolli emotivi che li hanno segnati profondamente.
Prendi il caso di Adriano, il “Imperatore”. A inizio anni 2000 era considerato uno dei migliori attaccanti al mondo, ma la perdita improvvisa del padre lo ha devastato emotivamente.
Un altro esempio famoso è quello di Andrés Iniesta. Anche se ha avuto una carriera incredibile, con successi come il Mondiale 2010, ha parlato apertamente della depressione vissuta dopo la perdita di un amico intimo.
Queste storie ci ricordano che i calciatori non sono solo atleti, ma persone con fragilità e sentimenti. Non importa quanto siano bravi in campo: se non si sta bene dentro, tutto il resto passa in secondo piano.
Una scelta quasi obbligata
A volte, il calcio non è solo gol e applausi. Dietro le luci del successo si nascondono storie più complicate, come quella di questo giocatore. A soli 30 anni, nel pieno della carriera, ha deciso di lasciare tutto. “Ho mollato quando ero al Boca. Troppo gossip, troppa pressione. Non potevo nemmeno uscire di casa, avevo paura della gente,” ha raccontato. E come dargli torto? Vivere con i riflettori puntati addosso può essere soffocante, persino per chi sembra avere tutto.
Non era uno qualunque: offerte dalla Cina, dalla Champions, tutte rifiutate. Ma quando arrivi a odiare quello che hai sempre amato, è il momento di fermarsi. “Il calcio merita rispetto, e al denaro preferisco l’asado e una birra,” ha detto. Un uomo che ha scelto di mettere il benessere personale davanti a tutto, anche al successo. E c’è qualcosa di profondamente umano in questo, come ha sempre dimostrato di essere Pablo Daniel Osvaldo.
Ribelle, ma autentico
Osvaldo non si è mai nascosto dietro a un personaggio costruito. “Mi allenavo sempre al massimo, ma pagai per essere stravagante. Non ero uno come Cristiano Ronaldo, che dopo l’allenamento andava in palestra. Io avevo altri interessi.” (fonte Calcio Raffinatezza). Questo modo di essere lo ha fatto amare e criticare allo stesso tempo. Era un ribelle, uno che commetteva errori, ma che in campo dava tutto. “Poi la sera uscivo, facevo cose normali. Ma questo cosa vuol dire?” domanda con quella sincerità un po’ spiazzante.
E poi ci sono gli episodi che raccontano chi è davvero. “A Mancini tirai un cazzotto dopo Juve-Inter. Lui mi rispose: ‘Vuoi fare a botte? Ma non dirmelo davanti a tutti’. Aveva ragione, mi vergognai e andai da lui a piangere.” Un aneddoto che, nel suo caos, fa emergere anche l’umanità di un uomo che, nel bene e nel male, ha sempre seguito il cuore. Forse è per questo che, guardando indietro, dice: “A Roma avrei dovuto gestire meglio certi momenti. Ma la gente si dimentica i miei 28 gol in due anni. Sarei rimasto solo per farmi rimpiangere.”