Juve, Champions e mafia: “Ero di loro proprietà” | Prendeva 50 sterline a settimana

Illustrazione della Juve nella stagione 2014 2015 (Wikipedia Leandro Ceruti from Rosta FOTO) - goalist.it
La storia che c’è dietro è molto inquietante per certi versi, con il calciatore che guadagnava una vera miseria.
La mafia e il calcio hanno avuto legami oscuri per decenni. Le organizzazioni criminali hanno spesso usato il pallone per riciclare denaro sporco, infiltrarsi nelle società e controllare il tifo organizzato. Un mix pericoloso di affari, potere e violenza.
Molti club, soprattutto nelle serie minori, sono stati strumenti per operazioni illecite. Acquistare una squadra era (e in certi casi è ancora) un modo per ripulire soldi e guadagnare influenza. Alcuni presidenti e dirigenti sono finiti sotto inchiesta proprio per questo.
Anche le curve degli stadi non sono rimaste immuni. Alcuni gruppi ultras hanno avuto legami con clan mafiosi, gestendo biglietti, droga e affari loschi dentro e fuori gli impianti sportivi. Non a caso, diverse indagini hanno svelato connessioni tra criminalità organizzata e il tifo estremo.
Nonostante tutto, il calcio resta uno sport capace di unire e ispirare. Le autorità stanno cercando di contrastare queste infiltrazioni, ma la battaglia è lunga. Serve più controllo, più trasparenza e soprattutto la volontà di tenere il gioco più bello del mondo lontano dalle mani sbagliate.
Un sogno inizialmente difficile
Quando Patrice Evra arrivò in Italia, aveva una sola certezza: voleva giocare a calcio. Non gli importava del freddo, della solitudine o dei sacrifici. Per lui, il pallone non era solo un gioco, ma una via di fuga, un biglietto per un futuro migliore.
Marsala non era esattamente il paradiso che sognava. Guadagnava una miseria, appena 50 sterline al mese, e per cinque lunghi mesi non vide nemmeno un centesimo. Ma niente di tutto questo lo fermava. Entrare in campo significava dimenticare tutto, staccarsi dalla realtà e sentirsi vivo. Il problema era il fischio finale, quel momento in cui tornava a fare i conti con la sua situazione.

Una situazione ingestibile
Il particolare racconto arriva direttamente dal podcast di “the diary of a CEO”, e proprio qui Evrà svela un dettaglio che rende tutto ancora più surreale: il contratto che firmò a Marsala era, a quanto pare, nelle mani della mafia italiana. Quando la Roma si interessò a lui, la risposta fu chiara e inquietante: “Appartiene a quell’uomo.” Non era solo una giovane promessa del calcio, era un ingranaggio in un sistema ben più grande e oscuro.
Sua madre lo raggiunse in Sicilia, disperata nel vedere il figlio in quella situazione. Lo implorò di tornare, di smettere di vivere in quelle condizioni. Ma Evra non voleva sentire ragioni. La sua risposta era sempre la stessa: “Io amo il calcio.” E quell’amore lo ha portato lontano. Ha superato ostacoli che avrebbero spezzato chiunque, trasformando un incubo in un trampolino di lancio. Oggi è una leggenda, la prova vivente che la passione può farti sopravvivere anche nei momenti peggiori.