Papa Francesco e Maradona (Fonte_ @popefrancis_Instagram)

Papa Francesco e Maradona (Fonte_ @popefrancis_Instagram)

Papa Francesco deceduto alle 7:35 in pieno Lunedì dell’Angelo. Cosa rimane di lui?

Ieri è finita un’epoca. Papa Francesco è venuto a mancare a Pasquetta, quasi all’improvviso. Si è trattato di un pontefici vicino agli ultimi, ai giovani e soprattutto intriso di sport. Francesco, all’anagrafe Jorge Maria Bergoglio è nato e cresciuto in Argentina. Basterebbe questo per giustificare la sua vicinanza alla palla al piede e ai campi di quartiere. Lui cresciuto in quel di Flores, veniva accompagnato dal padre Mario a vedere le partite e a giocarle.

Non ha mai nascosto la sua passione per il pallone. Sempre accennato con fierezza al ruolo che preferiva: il portiere. Diceva di essere una pata dura (una gamba dura), uno che dove lo metti sta e si impegna anche se non eccelleva. Così ha fatto fino all’ultimo giorno da Papa e così faceva in porta tra i pali. Un ruolo precisava il Papa che deve attenzionare tutto e proteggere i compagni. Una grande responsabilità.

Lui cresciuto con il tifo sfegatato del San Lorenzo de Almagro. In un’intervista inedita alla Gazzetta dello Sport disse che il Gasometro (stadio di casa del San Lorenzo) lo ricorda bene, come lo scudetto del 1946. I bambini in festa, la stessa che auspicava per lo sport tutto, come celebrazione e attimo fermo nel tempo.

Così, dallo sport ha ripreso i concetti di impegno, di vicinanza ai giovani e di rispetto per coloro i quali non possono fare di più. Papa Francesco non ha mai rifiutato l’incrocio col mondo dello sport, anzi spesso lo cercava. Nell’incontro con le nazionali, nella stretta di mano agli sportivi e nell’uso delle metafore sportive per i suoi insegnamenti.

“Lo sport non sia business”: valori e spirito di squadra in Papa Francesco

Papa Francesco (Fonte_ @popefrancis_Instagram)
Papa Francesco (Fonte_ @popefrancis_Instagram)

La pratica sportiva e l’impegno erano come un caro amico che Francesco amava mostrare accanto a sé. E proprio in una delle sue interviste ha ribadito, tra tenerezza e severità, il suo credo:

“Lo sport è importante, ma deve essere vero sport! Il calcio, come alcune altre discipline, è diventato un grande business! Lavorate perché non perda il carattere sportivo. Anche voi promuovete questo atteggiamento di “dilettanti” che, d’altra parte, elimina definitivamente il pericolo della discriminazione. Quando le squadre vanno per questa strada, lo stadio si arricchisce umanamente, sparisce la violenza e tornano a vedersi le famiglie sugli spalti”

Insomma, l’amore per una vita spoglia e uno sport che possa tornare originale e autentico. Autentico come lo era quel grande campione di Maradona. La leggenda argentina ha incrociato Francesco nel 2014 ad una partita per la Pace. La sua morte l’ha segnato, tanto da mandare un rosario alla sua famiglia. La morte di un talento, quello che per Papa Francesco senza impegno e dedizione va disperso. Il talento delle cose che va custodito e come diceva Matteo nel suo Vangelo (25,14-30) la parabola ci insegna a plasmarlo e a coltivarlo.

Insomma, Francesco era amato e odiato. Apprezzato a pieno e circondato dai diffidenti, come tutti i grandi del mondo. Eppure, lui da grande si è fatto semplice, alunno. Un amatore che si avvicina ad un pallone desideroso per la prima volta di calciarlo. Papa Francesco è stato il Papa degli umili, intriso ora e per sempre di calcio.

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