E’ uguale a Caniggia, no, è più bello: ed è più forte di Trezeguet: TITOLARE UNA SOLA VOLTA I Pacco di sola andata, direzione Spagna
Trezeguet e il suo tiro al volo (LaPresse FOTO) - goalist.it
Superare leggende come Caniggia e Trezeguet non è semplice, e infatti non è successo nulla di tutto ciò, purtroppo o menomale.
Nel calcio succede spesso: un giovane fa due partite buone e subito scatta il paragone pesante. “Il nuovo Messi”, “Il nuovo Zidane”, “Il prossimo Ronaldo”. E ogni volta, puntualmente, la pressione cresce a dismisura. Il problema? Nove volte su dieci finisce male.
Molti ragazzi, schiacciati da aspettative esagerate, non riescono più a giocare con leggerezza. Prendi Bojan Krkic, per esempio: al Barcellona lo paragonavano a Messi, ma tra infortuni e scelte sbagliate, la carriera non ha mai davvero decollato. O Federico Macheda, esploso al Manchester United con un gol clamoroso e poi… sparito dai radar.
C’è anche chi ha vissuto la stessa sorte in Italia: Riccardo Meggiorini, paragonato a Baggio nei suoi primi anni, o Vincenzo Montella indicato come il nuovo Rossi. Troppo, troppo presto. Perché un talento va coltivato, non caricato di responsabilità assurde.
Alla fine, il paragone è una trappola. Per ogni fenomeno che regge la pressione, ce ne sono tanti che si perdono per strada. Sarebbe meglio lasciare ai giovani il tempo di sbagliare, crescere e trovare la loro strada, senza l’ombra ingombrante dei miti del passato.
Quando ti paragonano a una leggenda…
Nel calcio, a volte basta poco per finire sotto i riflettori. Fai due dribbling, segni un gol da fuori e… zac, scatta il paragone pesante: “È il nuovo Batistuta!”, “Ha i colpi di Zidane!”. Ma il problema è che quando ti mettono accanto a certi nomi, più che un complimento è una condanna. Ti porti dietro un’etichetta che pesa come un macigno, e se poi non confermi le aspettative? Sei bollato. Fine.
Gustavo Bartelt è proprio uno di quei casi. Uno di quei giocatori che sono arrivati in Italia col marchio del predestinato… e invece. Alla Roma, nel 1998, lo presentarono come il nuovo Batistuta e per prenderlo avevano pure scartato Trezeguet. Eh sì. Esordio in Coppa Italia, buono… poi basta. In campionato, zero gol. Infortuni, prestiti dimenticabili e pure una squalifica per un pasticcio col passaporto italiano.
Il rischio di bruciarsi
Bartelt non è mica l’unico. Di “nuovi Maradona” ne abbiamo visti a decine, così come di “nuovi Del Piero” o “eredi di Pelé”. È come se nel calcio ci fosse sempre questa smania di trovare un clone, un successore da mettere su un piedistallo prima ancora che abbia fatto mezza stagione decente. Ma il problema è che quei paragoni lì mettono addosso una pressione assurda. E non tutti riescono a reggerla.
Pensaci: sei un ragazzino, magari 21 anni, ti portano in Europa, ti accostano a un’icona e tu devi dimostrare di essere all’altezza… ogni singolo giorno. Ma uno deve anche avere il tempo di sbagliare, crescere, capire dove sta. E invece spesso li bruciano. Bartelt ci è finito dentro con tutte le scarpe, ma la sua storia dovrebbe far riflettere: lasciamo ai giovani la possibilità di diventare “qualcuno”, invece che cercare subito “il nuovo qualcuno”. Sarebbe già un bel passo avanti.