Dallo scudetto all’esonero, e ritorno: il secondo tempo di Max Allegri al Milan

Allegri

Photo LiveMedia/Federico Proietti/DPPI Rome, Italy, May 11, 2022, Italian football Coppa Italia match Final - Juventus FC vs Inter - FC Internazionale Image shows: Massimiliano Allegri head coach of Juventus looks on during the Italian cup, Final football match between Juventus FC and FC Internazionale on May 11, 2022 at Stadio Olimpico in Rome, Italy LiveMedia - World Copyright

Massimiliano Allegri torna al Milan: un cerchio che si riapre, con vista sul futuro

Nel calcio, certi ritorni non sono solo questione di strategia o di necessità. Sono storie, emozioni, cicli che si intrecciano con il destino. Il ritorno di Massimiliano Allegri sulla panchina del Milan è tutto questo: un intreccio di passato e futuro, di ambizioni rinnovate e di capitoli lasciati aperti. Dopo più di un decennio, il tecnico livornese torna là dove aveva lasciato un’impronta indelebile, riportando a casa uno scudetto che ancora oggi rappresenta una delle ultime grandi gioie dell’epoca post-Ancelotti.

Dallo scudetto 2011 all’esonero: il primo capitolo rossonero

Era l’estate del 2010 quando Allegri approdò al Milan. Reduce da un’ottima esperienza a Cagliari, l’allora poco piu’ che quarantenne l’allenatore fu chiamato da Adriano Galliani per guidare una squadra che stava vivendo una fase di transizione. I grandi campioni c’erano ancora – Seedorf, Nesta, Gattuso, Pirlo – ma si iniziava a respirare un’aria nuova. L’arrivo di Zlatan Ibrahimović, Boateng e Robinho fu il segnale che il club voleva tornare a vincere. E così fu.

La stagione 2010-2011 rimane uno spartiacque: con un calcio pragmatico, ordinato e solido, Allegri riportò il Milan sul tetto d’Italia, vincendo lo scudetto con una squadra compatta e dotata di grande equilibrio. Fu l’anno della rinascita e, per molti, della consacrazione di Allegri come tecnico di primo livello. Eppure, quella parabola felice durò poco.

Negli anni successivi, il Milan iniziò a perdere pezzi: Pirlo lasciò per la Juventus, Thiago Silva e Ibrahimović furono ceduti per esigenze economiche, e l’ambizione sportiva fu via via sostituita dalla necessità di contenere i costi. Allegri cercò di tenere a galla una squadra sempre più povera di talento e personalità, ma i risultati non bastarono: a gennaio 2014, dopo una sconfitta contro il Sassuolo, fu esonerato. Il suo ciclo si chiuse con un misto di rimpianto e gratitudine.

La consacrazione alla Juventus

Ma Allegri non era destinato a svanire nell’anonimato. Pochi mesi dopo, arrivò la chiamata della Juventus, tra lo scetticismo generale. In molti storsero il naso di fronte alla sua nomina: sostituire Antonio Conte sembrava impossibile, e invece Allegri costruì una delle Juventus più dominanti della storia. Cinque scudetti consecutivi, quattro Coppe Italia, due Supercoppe italiane, e – soprattutto – due finali di Champions League (2015 e 2017).

Il tecnico livornese mostrò un’evoluzione tattica importante: dalla difesa a oltranza del Milan alla gestione elastica della Juve, capace di passare dal 3-5-2 al 4-2-3-1 con naturalezza. Allegri si affermò come un allenatore capace di leggere le partite, adattarsi agli avversari, gestire spogliatoi complessi e tirare fuori il meglio dai suoi campioni, da Dybala a Pogba, da Tevez a Cristiano Ronaldo. Un gestore, più che un costruttore, ma straordinariamente efficace.

Dopo una prima parentesi vincente a Torino e un successivo ritorno meno fortunato (dal 2021 al 2023), Allegri ha vissuto un breve periodo lontano dalle panchine. Ma ora, il richiamo di Milano lo ha riportato al punto di partenza.

Il Milan che ritrova oggi: caos dirigenziale e una tifoseria in rivolta

Il Milan che Allegri ritrova oggi è profondamente diverso rispetto a quello lasciato nel 2014, ma non necessariamente migliore. Dopo lo scudetto del 2022 con Pioli e il bel cammino in Champions nel 2023, la squadra si è progressivamente smarrita. La stagione appena conclusa ha lasciato dietro di sé un ambiente lacerato, in crisi d’identità e sempre più distante dalla sua tifoseria.

La società, guidata da RedBird Capital, è finita al centro di polemiche e tensioni interne. L’addio traumatico di Paolo Maldini ha scatenato un’ondata di malcontento che non si è mai placata. I tifosi hanno più volte manifestato la propria contrarietà alle scelte dirigenziali, accusando la proprietà di freddezza, distanza dal mondo Milan e mancanza di chiarezza sul progetto sportivo.

Al centro delle critiche ci sono due figure: Paolo Scaroni, presidente considerato troppo orientato al lato aziendale del club, e Zlatan Ibrahimović, tornato in società come consigliere personale di Gerry Cardinale. Il suo ruolo, mai del tutto definito, e alcune uscite pubbliche percepite come distanti dalla realtà, hanno contribuito ad alimentare la tensione. Da eroe del campo, Ibra è finito per diventare – suo malgrado – simbolo di una gestione che molti considerano confusa, autoreferenziale e disconnessa dalla storia e dai valori del Milan.
In questo contesto, la scelta di Allegri non è solo tecnica, ma fortemente simbolica. Il club aveva bisogno di una figura autorevole, concreta, capace di riportare ordine, autorevolezza e risultati. Un uomo con le spalle larghe per reggere il peso del presente e dell’eredità del passato.

Una sfida nuova, un calcio diverso

Ma il ritorno non sarà semplice. Il calcio del 2025 è profondamente diverso da quello che Allegri affrontò nel suo primo ciclo rossonero. Le squadre pressano alte, costruiscono dal basso, alternano moduli fluidi e cercano di dominare la partita attraverso il possesso e l’aggressività. Allegri dovrà dimostrare di essersi aggiornato, di saper gestire un gruppo giovane e internazionale, di trovare un’identità convincente senza rinunciare alla sua filosofia: concretezza, gestione dei momenti, equilibrio.

Avrà a disposizione una rosa con talento (Leão, Pulisic, Loftus-Cheek, Theo Hernandez), ma anche con fragilità strutturali da colmare. Serviranno rinforzi, ma soprattutto idee chiare. Allegri dovrà lavorare su una difesa da sistemare, su un centrocampo da rendere più solido, e su un attacco che a tratti sembra vivere solo di fiammate individuali.

Il ritorno del condottiero

Allegri torna dove aveva iniziato a vincere. Ma non è più lo stesso allenatore, né lo stesso uomo. E nemmeno il Milan è lo stesso club. In comune, però, c’è ancora quella fame di vittoria, quell’istinto da grande squadra, quell’identità che va riscoperta e ricostruita giorno dopo giorno.

Per i tifosi, il suo ritorno può essere un’occasione per chiudere un cerchio lasciato in sospeso. Per lui, una sfida personale: dimostrare che può vincere ancora, che può farlo in un calcio che cambia in fretta, e con una squadra che chiede tanto, forse tutto.

Una cosa è certa: Allegri e il Milan si ritrovano nel momento in cui entrambi hanno bisogno di tornare a essere protagonisti. Sarà l’inizio di un nuovo ciclo o solo un nostalgico déjà vu? Lo dirà il campo. Ma intanto, a Milanello, è tornato il sorriso di un tecnico che non ha mai smesso di voler vincere.