Doppio passo, illusioni e delusioni: c’era una volta Denilson

Estate 1997: in radio passavano ‘’Primavera’’ di Marina Rei, ‘’El talisman’’ di Rosana e “Uh La La La” di Alexia. Calcisticamente in quell’estate ci fu la Copa América vinta dal Brasile per la quinta volta, mentre le squadre italiane si apprestavano a programmare la nuova stagione cercando di staccare il tricolore dal petto della Juventus vice campione d’Europa.

Ma l’estate 1997, o meglio tra il 3 e l’11 giugno, è ricordata per un torneo fra Nazionali diventato iconico: il Torneo di Francia. Organizzato dalla Federcalcio francese, giocato un anno prima del Mondiale disputato in terra transalpina, vide in campo i padroni di casa (caratterizzati da una vera nidiata di fenomeni) che tornavano ad un Mondiale dopo Messico ‘86 e la ‘’generazione Platini’’, e tre Nazionali tra le più forti del periodo, ovvero Brasile, Italia e Inghilterra. Tra i convocati delle quattro Nazionali, il meglio del calcio dell’epoca: Ronaldo e Romario; del Piero e Maldini; Zidane e Pires; Beckham e Shearer.

Il Torneo di Francia è stato vinto ed è diventato famoso per tre momenti: il gol ‘’contro-ogni-legge-della-fisica’’ su punizione di Roberto Carlos contro la Francia; la foto che vede Ronaldo fronteggiato da Cannavaro e Maldini; Denilson. Soffermiamoci su quest’ultimo, 20 anni e maglia numero 20 verde-oro.

Denilson allora era praticamente sconosciuto in Europa, mentre in patria era noto come “il miglior sinistro del Brasile”. Il Torneo di Francia fu il torneo di Denilson. Centrocampista mancino prestato alla fascia, Denilson si caratterizzava per la tecnica del “doppio passo”, un particolare tipo di dribbling dove il calciatore, in velocità e marcato da un avversario, con un piede faceva un movimento rotatorio sul pallone e con l’altro gli dava il tocco in velocità. Era (ed è ancora) una tecnica puramente brasiliana. Per i puristi significa specchiarsi, per gli amanti dello spettacolo è il non plus ultra del calcio.

Insomma, Denilson era puro Brasile, uno dei fondatori (con i colleghi Roberto Carlos, Ronaldo, Rivaldo, Romario ed i futuri Adriano, Robinho e Ronaldinho) del joga bonito che caratterizzò per oltre dieci anni il calcio brasiliano. Denilson all’epoca riuscì a guadagnarsi la convocazione nella Seleçao, nonostante la presenza di gente come Ronaldo, Romario, Bebeto, Edmundo e Rivaldo.

Il mondo, in quell’estate, rimase incantato da questo ragazzo e lo stesso Denilson fu decisivo per la vittoria brasileira in Copa América ed in Confederations Cup: giocava nel San Paolo, ma il suo futuro sarebbe stato lontano dal Brasile. Denilson rimase in Brasile un altro anno, fu convocato da Zagallo per il Mondiale francese dove il Brasile perse in finale contro la Francia nella partita in cui Ronaldo ebbe il famoso attacco epilettico nel pre-partita e scese a fatica dall’aereo appena atterrato in Brasile. Nonostante questo, Denilson si confermò sul livello del Torneo di Francia e, ovviamente, arrivò a giocare in Europa. Denilson fece come Zico, Romario e Ronaldo: giocare in squadre non mainstream. Fu tesserato dal Betis Siviglia.

Real Madrid, Roma, Barcellona, Parma, Milan e Lazio erano pronte a farsi la guerra a suon di miliardi: la Lazio quell’estate prese Vieri, Salas, De la Pena, Stankovic, Mijailovic, Conceiçao e Couto per un totale di 180 miliardi, ma non Denilson, per cui Cragnotti aveva mosso (quasi) mari e monti per vestirlo di biancoceleste, non riuscendoci.

Il suo acquisto da parte del Betis fu clamoroso: la squadra andalusa spese 63 miliardi di lire del tempo per accaparrarsi il giocatore facendogli firmare un contratto di dodici anni dandogli un ingaggio annuo da 6 miliardi di lire. Come se non bastasse, il Betis Siviglia fissò una clausola rescissoria che definire monstre era riduttivo: si poteva acquistare Denilson per 750 miliardi di lire. L’allora presidente della squadra bianco-verde, Manuel Luiz de Lopera, voleva rendere il Betis come Real Madrid, Barcellona, Valencia e “Depor” con l’obiettivo di puntare decisamente all’Europa che contava.

I tifosi del Betis Siviglia, reduci da un opaco ottavo posto del campionato precedente e che non vincevano il titolo nazionale da 63 anni, erano in visibilio e non credevano ai loro occhi. Peccato che Denilson in Liga non mantenne le promesse: in sei stagioni e mezzo al “Villamarin” giocò in tutto 207 partite, segnò 13 reti, giocò sei mesi in B perché il Betis retrocesse (e lui si fece i primi sei mesi di quella stagione in cadetteria in Brasile in prestito) e nell’ultima stagione portò il Betis Siviglia a qualificarsi per l’Europa. Poca roba, anche perché il contesto tecnico della rosa della squadra andalusa era da medio-bassa classifica e alla fine il giocatore si dimostrò per quello che era: inutile alla causa e l’Europa ne dimostrò i limiti, riducendolo ad un giocatore qualsiasi (con un ingaggio spropositato).

Nell’estate 2005 Denilson passò al Bordeaux in Ligue 1: voleva il Mondiale tedesco ma, nonostante fosse stata una stagione finalmente positiva come numeri, Parreira non lo convocò. In compenso quell’estate il Betis Siviglia fece una minusvalenza…mondiale

Dopo il Bordeaux, il ragazzo di Diadema andò a giocare in Arabia Saudita, MLS, in patria con Palmeiras e Itumbiara, giocò una partita nella Serie A vietnamita e firmò con un club greco, il Kavala ma, come con l’Itumbiara, non scese mai in campo. Tutto questo nei successivi quattro anni post-Bordeaux. A 33 anni Denilson appese al chiodo quegli scarpini che lo avevano reso il re del doppio passo e delle finta ubriacanti. Denilson è un rimpianto? Si, ma forse su di lui c’è stata troppo hype: vanno bene il paso doble, le finte, i dribbling…ma il calcio è anche altro. Era elegante, agile, veloce, tecnico e talentuoso, individualista (“veneziano” come si dice nel parlato comune) quanto si vuole ma era banale e scontato.

Eppure Denilson tra il 1997 ed il 1998 ha incantato tutti: erano gli anni dove la Nike spingeva con spot fatti di freestyle e trovate geniale con i giocatori che sponsorizzava. Ed infatti quegli spot, della durata di meno di un minuto, tenevano incollati alle tv migliaia di ragazzini che guardavano quei campioni con le scarpe con il “baffo” cercando poi di imitarli in strada o al parchetto. E tra questi eroi calcistici ci fu anche Denilson che, nel mitico spot dell’aeroporto pre-Francia ‘98, dribblava i passeggeri sul tapis roulant al ritmo di “Mas que nada” di Sérgio Mendes.

Una fama, quella di Denilson, immortalata anche nel film “Cosi è la vita” con un Giovanni in giacca e cravatta che, nonostante un inizio di giornata terribile, aveva rilanciato il pallone a dei ragazzini all’urlo “Denilson!” facendo (più o meno) il doppio passo da fermo, calciando la palla di sinistro e, dopo averla recuperata, due ladri gli rubavano la macchina ed uno di questi lo salutò beffardamente al grido di “Ciao Denilson!”.

Ricapitolando: cosa è stato davvero Denílson de Oliveira Araújo, nato a Diadema il 24 agosto 1977, giorno di San Bartolomeo apostolo? Sicuramente non l’erede di Ronaldo il fenomeno, ma un qualcosa che ha allietato gli occhi degli spettatori, ma che non ha riempito le bacheche delle squadre in cui ha giocato: nel calcio ci vuole concretezza e non solo gesti tecnici fini a loro stessi.

Ma quell’estate del 1997 è stata però davvero bella.

Articolo a cura di Simone Balocco

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