Scrive TMW, Maria Sole Ferrieri Caputi, arbitro di Serie A, ha rilasciato un’intervista a La Repubblica, approfondendo alcuni aspetti legati alla sua professione: “Il giorno dell’esordio ho ripensato a tutto il mio percorso. Mi sono emozionata, ovviamente. Ma poi ho pensato solo a dirigere la gara, a fare quello che più mi piace. La concentrazione non deve mai venire meno, non ci si deve fare condizionare dai fattori esterni. Il body language è importante, in una dimensione così mediatica. Ci si può lavorare, si può comunicare anche senza parlare”.
Non tutte le partite però sono uguali, dipende anche dall’ambiente: “I requisiti necessari per governare una partita mi sono chiari: presenza, calma e tranquillità. Devi essere un punto fermo. La calma devi averla dentro, per poterla trasmettere fuori. Cambiare registro? In ogni partita capita di doverlo fare. Il problema è quando non riesci ad avvertire il momento e puoi andare in difficoltà. Mi è servito il confronto con i modelli, soprattutto quando andavo all’estero e mi confrontavo con le colleghe”.
Ferrieri Caputi è anche molto esigente: “Riguardo la partita. E se non è andata tanto bene, per due giorni mi considero malata. Se mi sento arbitro o arbitra? In realtà non fa differenza arbitra o arbitro, anche se io preferisco arbitro. Quando mi fecero questa domanda la prima volta, risposi di pancia, per via dei miei trascorsi in prima o seconda categoria: sugli articoli dei giornali usciva la parola arbitra, per sottolineare la cosa con una connotazione negativa. Ora rispondo che non fa nessuna differenza. Io aspiro a continuare a fare esperienza in A e in B, perché non è scontato che ti riconfermino: siamo sempre sotto esame. Razzismo? È una piaga sociale, certi comportamenti sono da stigmatizzare e da punire. Quello è stato un episodio molto brutto, gestito nel migliore dei modi dal collega Fabio Maresca”.
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