Figlia Baggio: “Soffrivo, a casa c’era poco. Ho avuto momenti di ribellione. Il mio cognome un’etichetta che pesa”

Fonte foto: Il Riformista.it

Scrive Radio 105, nel corso di un’intervista, Valentina si è raccontata, spiegando le difficoltà che aveva da piccola per via degli impegni di papà Roby Baggio: “Ho cambiato tante scuole e città per seguire mio padre: viaggiare è bello, ma non è stato molto facile, ho sofferto tanto […]. Quando ero piccola, mio padre non poteva essere molto presente nella mia vita: soffrivo perché le mie amiche andavano in giro la domenica con il loro padre mentre io lo vedevo allo stadio. A casa c’era davvero poco. Stavo tanto con mia madre e mio fratello. Non era un dolore, ma per vent’anni non sapevo spiegarmi perché io fossi cresciuta senza un papà, non avevamo avuto tempo per conoscerci. Quando lui ha smesso di giocare nel Brescia era il 2004 e avevo 14 anni, ma non ci conoscevamo: non è stato facile all’inizio, dai 14 ai 19 anni ho avuto momenti di totale ribellione”.

Un cognome che spesso le è pesato anche nella vita privata: “Quando ero piccola, diventavo amica dei ragazzi e meno delle ragazze perché loro erano interessati a mio padre, volevano gli autografi e io volevo giocare a calcio con loro. Così le altre bambine non mi amavano molto. Per tutti ero la figlia di Baggio, ma mi dicevo: ‘Provate a conoscermi. Lui è lui, io sono io, sono una ragazza normale’. C’è stato un periodo della vita in cui chiedevo se fosse possibile persino cambiare cognome. Quante amicizie ho avuto solo perché a qualcuno piaceva essere amico dei Baggio, poter raccontare qualche gossip”. 

E ancora oggi i pregiudizi la accompagnano: “‘Ma tanto lei è ricca’, dicono anche alcuni ex amici. Ma ricca di cosa? Mi faccio il c**o, ho il mio lavoro, mi guadagno i soldi come tutti. Mio padre mi ha cresciuta senza volermi dare privilegi economici, a 16 anni d’estate andavo a lavorare al bar o nei negozi di abbigliamento perché i miei genitori volevano fossimo persone indipendenti e non fosse tutto dovuto per noi. Io sono io, ho il mio lavoro, ho fatto la mia carriera, se mio padre ha qualcosa allora non deve essere mio per forza. Quando vivevo a Ibiza, la gente sui social scriveva che fossi sempre in vacanza. Ma io avevo deciso di andare lì nel settembre 2021, dopo il lockdown: ero ferma e mi sentivo molto stretta in Italia, avevo la necessità di muovermi e anche di poter scendere scalza al market sotto casa”. 

Ed è proprio durante la pandemia che il suo rapporto con Roberto è cambiato: Siamo diventati amici negli anni della pandemia: non sono stati anni facili per l’Italia, ma posso dire che sono stati i 18 mesi più belli della mia vita. Vivevo a Milano e me ne tornai in Veneto, a casa, dove potevo stare all’aria aperta. I miei genitori mi hanno così conosciuta da adulta, dieci anni dopo essere partita: ero diventata una donna. Si passava tantissimo tempo insieme, cucinavo qualsiasi cosa con mio fratello, ho passato molto tempo con mio padre, facevamo lunghe partite a carte. Il lockdown è stato tragico, ma in un certo senso è stato una benedizione. Vivere una vita lenta cambia tante cose: eravamo sotto lo stesso tetto, sempre insieme, potevamo parlare di molte cose, discutere su qualsiasi tema, vedevano il mio punto di vista da persona adulta e non da ragazzina”.

Nonostante le difficoltà, per lei Roberto rimane un mito d’altri tempi: “Mio padre è bellissimo, è un orgoglio essere sua figlia. Viene riconosciuto a livello mondiale per le sue gesta sul campo ma anche perché ha creato questa immagine di persona normale, un uomo della gente pur essendo un grande campione. Ha avuto una vita molto diversa da quella dei calciatori di oggi: è assieme a mia madre da quando ha 14 anni, è legato alle tradizioni e alla natura, oggi vive in mezzo alla natura quasi da contadino”. Non è comunque semplice essergli figlia: “Per me resta tuttavia una grande responsabilità averlo come genitore. Devo pesare quello che dico, non fare sciocchezze, da giovane c’era il rischio di mettermi e metterlo nei guai così sono diventata ponderata e allo stesso tempo empatica. Il mio cognome è un’etichetta che pesa, devo entrare tanto nei loro pensieri per rapportarmi a loro”.

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