Gerónimo Barbadillo, in Italia per caso ma idolo di Avellino e Udine

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Quando si pensa al Perù, vengono in mente scenari mozzafiato, le Ande, i resti Inca, i laghi e colori tipici di una zona molto bella e turisticamente interessante, perla di tutto il Sud America.

Calcisticamente, la Nazionale peruviana ha preso parte a cinque edizioni dei Mondiali e a diciannove di Copa America: nella kermesse iridata, la Blanquirroja ha raggiunto come best position i quarti di finale nell’edizione messicana del 1970, mentre nella manifestazione futbolista continentale ha vinto due volte il trofeo, una volta ha perso in finale e altre otto volte si è classificata al terzo posto.

Il suo calciatore più famoso è stato Teofilo Cubillas, considerato uno dei più importanti della storia del calcio. Cubillas non è mai venuto a giocare in Italia perché quando era al top, negli anni Settanta, da noi c’erano le “frontiere chiuse” e le squadre italiane non potevano acquistare giocatori stranieri.

Il primo giocatore peruviano ad approdare in Italia è arrivato nell’estate 1982, quella successiva alla vittoria del terzo titolo mondiale da parte della nostra Nazionale. Per la stagione 1982/1983, la nostra Federcalcio aprì alla possibilità per ogni squadra di tesserare fino a due giocatori stranieri. Ed il primo giocatore proveniente dal Paese del Machu Picchu approdò ad Avellino e fu Gerónimo Barbadillo, noto con i soprannomi “Gerry O”, “Tartufon” ed il peruviano “Patrulla”.

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Tre cose caratterizzavano il centrocampista di Lima: tecnica, velocità e capigliatura, molto particolare e molto afro. Barbadillo fu il secondo straniero acquistato dall’Avellino di Antonio Sibilia ed ancora oggi questo calciatore è ricordato con affetto dai tifosi del “lupo” che lo videro giocare allo stadio “Partenio” negli anni Ottanta.

La storia calcistica di Gerónimo Barbadillo nasce tra le squadre del suo barrio dove giocava con il padre Willy, colonna portante dell’Allianz Lima e della Nazionale biancorossa negli anni Trenta e Quaranta, il quale però voleva che il figlio non seguisse le sue orme ma facesse altro nella vita.

Cresciuto negli Sport Boys di Callao, Gerónimo Barbadillo, nel 1975, dopo una stagione nel Defensor Lima, si spostò in Messico giocando sette stagioni con il Tigres de la Universidad Autónoma de Nuevo León con cui vinse due titoli ed una Coppa nazionale. Divenne un mito della squadra e nell’estate 1982 la squadra di San Nicolás de los Garza ritirò la sua maglia: per essere un centrocampista (un’ala, a dire il vero), Barbadillo segnò oltre sessanta reti, scrisse pagine importanti con i colori gialloblu e per la dirigenza del club fu doveroso il ritiro della sua maglia: nessun altro giocatore avrebbe dovuto mai più indossare il suo numero di maglia. E pensare che quasi per caso andò a giocare in Messico, spinto dall’allenatore della squadra, il suo connazionale Claudio Lostaunau.

Gerónimo Barbadillo dopo il Mondiale spagnolo fu cercato da molte squadre e ad accaparrarselo fu l’Avellino dell’allora presidente Sibilia: quell’estate l’unico straniero della squadra, il brasiliano

Juary (quello che dopo un gol ballava girando intorno alla bandiera del corner), era passato all’Inter e la compagine campana ebbe la possibilità di acquistare, ex novo, due calciatori stranieri. A mister Pippo Marchioro furono “regalati” l’attaccante danese Søren Skov ed il veloce e dribblatore Barbadillo: una coppia ben assortita per puntare ad una tranquilla salvezza.

A dire il vero, “Patrulla” non sapeva cosa fosse e dove fosse Avellino. E lo capì quando atterrò a Roma e lo portarono in Irpinia, dove vide che quella zona di Campania era ancora provata dal tragico terremoto di due anni prima. Era stato beffato: visto il suo pedigree, Barbadillo voleva una squadra che avrebbe lottato per il titolo e non al suo quinto campionato consecutivo in Serie A e lottare per la salvezza. Ma non poteva tornare indietro: aveva firmato e non poteva rescindere, una cosa allora non prevista come oggi.

Gerónimo Barballo debuttò in Serie A il 12 settembre 1982 al “Comunale” di Torino contro i granata che si imposero 4-1. Sin da subito Barbadillo conobbe la forza delle difese italiane: subì una gomitata che lo lasciò a terra intontito. Un banale fallo di gioco, ma che fatto ad un giocatore che non aveva mai avuto che fare con il calcio rude fu traumatica.

Il giocatore rimase colpito in senso negativo da ogni cosa, anche da Antonio Sibilia, un vero personaggio. I Barbadillo volevano scappare da Avellino ed invece “Gerry O” rimase nella città di San Modestino tre stagioni, contribuendo a tre salvezze tranquille della squadra in maglia verde. Il giocatore dopo il trauma iniziale, capì che si era sbagliato sulla città, sulla squadra e sui tifosi, con questi ultimi che lo presero in simpatia e lui li contraccambiò con giocate e gol importanti. Era stato pagato 1 miliardo di lire del tempo (oggi circa 1,7 milioni di euro), ma ne era valsa la pena.

Con Barbadillo in squadra (anche grazie ad un organico molto forte, nonostante il solo obiettivo salvezza), l’Avellino divenne una squadra temibile da affrontare, tanto che molte squadre persero molti punti giocando al “Partenio”.

Ma come tutte le belle favole, anche quella di Barbadillo in terra irpina giunse al termine: nell’estate 1985, “Tartufon” fece 870 km verso Nord ed approdò all’Udinese del presidente Lamberto Mazza che aveva in squadra i vari Edinho, Colombo, Chierico e Carnevale. Da pochi mesi se ne era andato Zico ed il centrocampista peruviano fu acquistato per non farlo rimpiangere. Zico tecnicamente era un altro pianeta rispetto a Barbadillo, ma la dirigenza friulana credeva nel giocatore che ad Avellino aveva stupito tutti. “Patrulla” rimase in Friuli due stagioni, contribuendo anche lì ad una salvezza tranquilla, ma poi fu accompagnato alla porta.

Ritiratosi, giocò in una squadra della provincia udinese per diletto ed in città aprì anche un’attività ristorativa. Conclusasi anche quell’esperienza, oggi il fu “Tartufon” del centrocampo abita ancora a Udine e fa l’osservatore aiutando il figlio ed il suo socio che sono procuratori sportivi. In più, una decina di anni fa, è anche guarito da una grave malattia.

Non è più tornato in Perù se non per le feste, Gerónimo Barbadillo. La sua casa è da quarant’anni l’Italia dove è diventato un giocatore iconico e definivo in un mondo dove prendere un “bidone” è ancora molto facile. E Barbadillo, quello arrivato ad Avellino per sbaglio e che voleva lasciare di colpo l’Italia, divenne invece un giocatore iconico di un calcio (quello degli anni Ottanta) considerato il più bello di sempre.

Ps: quanti di voi, leggendo il nome “Tartufon” nel pezzo, hanno pensato allo spot anni ’80 di un panettone molto in voga allora? Il protagonista dello spot era un uomo tricologicamente come Gerónimo Barbadillo.

Articolo a cura di Simone Balocco