Ai punti saremmo andati ai supplementari, ma il calcio non è la boxe. Ed il calcio non è neppure come giocare a bocce, vicino non conta. La Fiorentina va in vantaggio dopo due minuti, sfiora il pareggio due volte con Jovic, ma alla fine vince l’Inter. Perché ha un attaccante, Lautaro, e perché ha un allenatore, Inzaghi. Sia chiaro, la Fiorentina ha raggiunto due finali anche per l’idea di gioco, per l’impronta di Italiano. Allo stesso tempo la Fiorentina ha perso perché non sa gestire, non sa rallentare, non sa difendere. Ed a certi livelli, certi particolari li paghi. La Fiorentina con Castrovilli ed Ikonè ha giocato in nove, ha pressato alto per un’ora di gioco, ha pagato l’atteggiamento garibaldino, lodevole ma molto dispendioso. E contro l’Inter, in una finale di coppa, tutto questo non te lo puoi permettere. Bonaventura perde un pallone sulla tre quarti? L’Inter recupera palla e pareggia. Lautaro ha due soli palloni da mettere dentro? Li realizza entrambi e vince la partita. La Fiorentina, invece, macina gioco, si scopre, e perde. Facile, è la legge del calcio, è la legge della vita.
Detto questo, una Fiorentina che se la gioca fino alla fine contro la finalista di Champions, a Praga ce la può fare. Una Fiorentina in salute, fisica e mentale, a Praga ce la può fare. Una Fiorentina che lotta, sgomita, non molla fino alla fine, a Praga ce la può fare. Basta giocare con la testa, basta mettere i calciatori nei loro ruoli, basta capire che la Fiorentina non gioca da sola ma c’è anche un avversario davanti. In sintesi, a Praga la Fiorentina ce la può fare.
Editoriale a cura di Stefano Borgi
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