La Fiorentina 2.0, da folle e sprecona a cinica e concreta. Mandragora e la panchina lunga le grandi novità. Ed ora arriva il bello…

C’era una volta la Fiorentina che costruiva, preparava, produceva… ma non segnava, non finalizzava. Arrivava lì e ahimè… si perdeva. Colpa degli attaccanti, si diceva, Jovic e Cabral (in due) non fanno un solo Vlahovic. E poi il modulo, l’oramai stantio 4-3-3, ed il modo di attaccare troppo scontato, troppo prevedibile. Tanto da spingere Bonaventura a lamentarsi pubblicamente: “rispetto all’anno scorso ci manca Vlahovic che faceva un gol a partita (Jovic e Cabral ringraziano n.d.r) e poi gli avversari ci conoscono, sono due anni che giochiamo sempre alla stessa maniera”, ebbe a dire l’ex-milanista. Quella volta fu Italiano a ringraziare, ma del resto lo aveva detto anche lui (dopo lo 0-3 di coppa preso in Turchia) mostrandosi sperso e sconsolato. Da qualche settimana, invece, oltre ai risultati sono cambiate anche le inerzie delle partite, con una Fiorentina sempre brillante, sempre propositiva, ma più verticale, meno orizzontale. Cioè, resta il dogma del giro palla però più veloce, piu essenziale, con l’immediata ricerca degli esterni, con il lancio in verticale a caccia degli attaccanti e del trequartista dietro la punta. Ora Barak, ora Bonaventura, ora Nico Gonzales che da quando parte a sx è libero di accentrarsi ed assistere sapientemente i compagni. Fateci caso: con il Braga in casa, a Verona, col Milan al Franchi, oggi a Cremona, le occasioni si contano sulle dita al massimo di due mani, mentre prima ci voleva un millepiedi. Di contro fioccano i gol, frutto di un nuovo cinismo, di una maggiore concretezza e della ritrovata vena dei due centravanti. Perché si ha un bel dire che le partite si vincono a centrocampo e che la palla va fatta correre perché non suda, ma se hai qualcuno come Cabral che è sempre al posto giusto nel momento giusto, oppure Jovic che si getta a volo d’angelo novello Gigi Riva, le cose diventano molto più facili. E di conseguenza arrivano i risultati.

Quante volte abbiamo detto: “povero Italiano, che deve fare? Si gira indietro e in panchina non vede nessuno”, sottintendendo la povertà (numerica e di qualità) della rosa viola. Oppure quante volte abbiamo invidiato la Juve, il Napoli, l’Inter, il Milan, che specie nell’era delle cinque sostituzioni tolgono tre calciatori e ne mettono altri tre… più forti, piu decisivi, che magari ti risolvono la partita. Ecco, qualcuno avrà notato che contro la Cremonese i primi tre cambi di Italiano sono stati Brekalo, Jovic e Nico Gonzalez, non tre carneadi qualunque: un quasi campione del mondo, mister 60 miliardi dal Real Madrid, ed un esterno serbo arrivato a gennaio da tutti considerato un vero e proprio valore aggiunto. Cosa vogliamo dire? Che a dispetto di quanti criticavano la rosa viola, definendola inadeguata, ridicola, costruita male (la storia della classica coperta corta, ricordate?) oggi Vincenzo Italiano dispone di cambi ed alternative in quantità. E di estrema qualità, a livello sia tattico che fisico. Mancano (a cazzotto) una ventina di partite al termine della stagione, forse anche di più augurandoci un percorso netto in Conference League, ed allora credeteci… il bello deve ancora venire.

Il finale è dedicato a Rolando Mandragora, che non a caso non figura nelle alternative. Credo che tutti (noi per primi) dovremmo chiedere scusa a Rolly (questo il nomignolo affibbiatogli dallo spogliatoio): è lento, non fa gol, non è né carne né pesce, è solo una rata del cartellino di Vlahovic, questo (e molto altro) si diceva a pochi mesi dal suo arrivo. Niente di tutto ciò: Rolando Mandragora sveltisce il gioco, lo ripulisce, tira da fuori, segna gol importanti, ha tolto pressione e compiti di costruzione ad Amrabat, ha dato equilibrio alla squadra. In poche parole è diventato un titolare insostituibile. Che dire? Felici di esserci sbagliati. E del resto, solo gli imbecilli non sanno cambiare idea…

Editoriale a cura di Stefano Borgi

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