Non basta dire “Basta”: una lunga serie di cui Maignan è solo punto di congiunzione

Ci troviamo nel 1989, anno di fermento politico e culturale in tutto il mondo. Il calciomercato estivo a Udine si preparava ad accogliere Ronny Rosenthal dallo Standard Liegi. Lui ragazzo israeliano, ebreo per giunta, felice di approdare in Italia, rinuncia al suo desiderio: accolto in “pompa magna” da scritte antisemite alle visite mediche e minacce al presidente Pozzo. Ronny resterà in Belgio, a casa sua. Gennaio 1996, dal Volendam all’Hellas Verona era pronto ad arrivare Maickel Ferrier. Dalla curva degli ultras scaligeri fu fatto penzolare un fantoccio nero, cappio al collo. Ferrier a Verona non si vedrà mai. Nuovo secolo, primavera 2001 con il Treviso che da spazio al giovane Akeem Omolade (soli 17 anni) di origini nigeriane. Al suo ingresso in campo tutta la curva del Treviso si alza, lasciando lo stadio e ritirando ogni striscione di supporto. Queste sono solo alcuni degli episodi che sorgono a notizia, rispetto a tutto quello che avviene in Italia dai dilettanti fino alla Serie A. L’ultimo caso ieri sera: Udinese-Milan, 2024. Mike Maignan si appresta a rimettere dal fondo, dalla curva dell’Udinese arrivano i primi urli all’unisono “Monkey!“. Il portierone avverte “Alla prossima, esco dal campo”. Purtroppo, detto fatto: altra rimessa dal fondo, altri ululati razzisti e versi di scimmia. Maresca si avvicina a Maignan e la partita è momentaneamente sospesa.

NON BASTA- Tutta la squadra rossonera rientra in campo e solo dopo cinque minuti fa il suo rientro con alcuni giocatori dell’Udinese che vanno a consolare Maignan. La partita riprende e con spiacevole conferma (non sorpresa) anche gli ululati della curva bianconera. Se qualcuno volesse credere nel Karma, i rossoneri hanno vinto 3 a 2 nel recupero. Tutto questo con buona pace di Cioffi che ha detto che “bisogna parlare di calcio”. Sarebbe da spiegare al comunque buon allenatore dell’udinese che parlare di quanto successo non era solo un diritto, ma un dovere da uomo di calcio. Risulta dura e a tratti è stancante dover dire ogni volta “la battaglia sarà lunga”. Sembra ogni volta prolungarsi di più questa lotta contro il razzismo, non da’ pace e non lascia spazio allo sport. Sarà anche vero, forse è un avvenimento che appartiene a frange estreme di ogni tifoseria. Eppure risulta grave il passivismo e l’indifferenza che risiede nella semplice frase ad effetto o post al quale purtroppo non seguono azioni adeguate. Lo stesso Maignan ne parla sui suoi social:

C’è tutto un sistema che deve prendersi le sue responsabilità. […] Il club Udinese, che ha parlato di una semplice interruzione di partita, come se nulla fosse successo, voi siete complici. […] Non mi renderete mai vittima, me come tutti i miei compagni”

Fonte foto: profilo Instagram Maignan

Il messaggio è forte e chiaro: le azioni parlano più forti delle parole. Non può essere ancora concepibile vedere questo nello sport. Non può essere accettato, come viene fatto spesso con qualche dichiarazione da telecamera, tutto quello che avviene nelle tribune. Deve essere chiaro che lo stadio è un luogo di tifo, di massa, di collettività. Troppi sono i pensieri rivolti al Var, alle polemiche stagne, troppe poche le prese di posizione attive su questi eventi. Anche questo- purtroppo- nel 2024 è quello che succede nel calcio. Che se ne parli, che si agisca e che si cambi.

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