Vade retro Tafazzi!!! E intanto, come disse Montella, Arthur è già il nuovo Pizarro…

Ammettiamolo: tutti noi (nessuno escluso) temevamo da morire la partita col Genoa. Dove il “temevamo” è un puro eufemismo. Anzi, volete saperlo? Io, personalmente, avrei firmato per un pareggio, e come me tantissimi altri. Addirittura alcuni già preconizzavano una sconfitta onorevole: 2-1 per loro, e tutti a casa. Il Genoa? Vedrete: l’entusiasmo della neopromossa (con la Samp in B, figuriamoci), il catino del Ferraris, i 27.000 abbonati, il fascino della notturna, il nuovo fenomeno Retegui (capirai, una doppietta nel turno di coppa Italia), praticamente un incrocio tra Crespo e Batistuta. Noi, invece, senza condizione fisica, reduci da un brutto precampionato (vero), con i soliti pregi (pochi) e difetti (tanti), dove vogliamo andare? E invece… Poi, tra soli 4 giorni, ci sarà da giocare il preliminare di Conference. E se 12 mesi fa col Twente era la partita della vita (Prade’ dixit), quella di Vienna sarà come minimo quella dei primi 40, dei primi 50 anni, con la concentrazione che verrà presumibilmente divisa tra i due impegni. Insomma, nubi scure all’orizzonte. E invece… Però attenzione, una cosa sia molto chiara: contro la Fiorentina vista a Marassi poche squadre ce l’avrebbero fatta, comprese le big. I viola hanno sciorinato organizzazione di gioco e tecnica collettiva invidiabile, con la piacevolissima novità di un cinismo insospettabile. Due gol nei primi 11 minuti, e buonanotte suonatori. Quando mai era successo? E se proprio era successo, vedi Monza, ne avevamo pagato ampiamente le conseguenze. Quindi esclamiamo: “Vade retro Tafazzi”, dove per l’ineguagliabile personaggio di “Mai dire gol” intendiamo il prototipo del tifoso viola negativo e disfattista. Sempre di estrema attualità. Contro il Genoa, lo ripetiamo, è esistita solo la Fiorentina, una Fiorentina bella e gioiosa, immaginifica e concreta allo stesso tempo. La squadra di Gilardino (che di certo non è il Real Madrid) non ha colpe, i meriti sono solo di Italiano e dei suoi calciatori.

Una chiosa finale su Arthur: dopo un 4-1 simile, per di più in trasferta, dovremmo parlare di Biraghi e del suo gol (incredibile dictu) realizzato col destro. Dovremmo parlare di Nico Gonzalez che, come un vero numero 10 (il suo numero di maglia quest’anno), indirizza la partita con un palo da fuori area (poi ribadito in gol da Bonaventura) e la decide con lo stacco di testa del 3-0. Dovremmo parlare, a proposito, di Jack Bonaventura che col celebre “terzo occhio” del fuoriclasse pesca in area Mandragora per il gol del 4-0. Ci dica, come ha fatto a vederlo? Dovremo parlare, infine, del giovane Kayode che, all’esordio assoluto in serie A (a soli 19 anni), oltre ad eseguire le rimesse laterali come l’omino del Subbuteo (lunghissime e precisissime), sforna una prestazione tutta grinta e sacrificio, condita persino da qualche gioco di prestigio. E invece noi dirazziamo parlando di un brasiliano che, pur senza gol sul taccuino né assist vincenti, è stato (insieme a Bonaventura) il migliore in campo. E per parlarne lo facciamo ricordando ciò che disse Vincenzo Montella alla presentazione di David Pizarro: “il problema di Pizarro è che tra qualche tempo, di lui, la squadra non potrà più farne a meno”. Prevedendone l’imprescindibilita’. Ecco perché abbiamo titolato: “Arthur come Pizarro”, non tanto per le caratteristiche tecniche e di posizione in campo (comunque molto simili), quanto per l’importanza ed il peso specifico di entrambi all’interno di una squadra di calcio. Appunto, imprescindibili. No Pizarro (e no Arthur)? No party. Chi deve capire capisca, e chi deve intendere intenda: anche in vista degli ultimi giorni di mercato. 

Editoriale a cura di Stefano Borgi

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