Vierchowod, il duro nei contrasti che fece grande la Sampdoria, “Lo Zar” che tolse il pallone a Zico e Maradona
Ivan Lukjanovič Vierchowod era un soldato dell’Armata rossa, il forte esercito dell’Unione sovietica. Nato nell’attuale Ucraina, questo militare combatté per liberare l’Europa del giogo nazifascista: il suo esercito ci riuscì sul fronte Est, quello Alleato si impose in Europa occidentale e meridionale. Nel 1945 la guerra finì, il Mondo si divise in sfere di influenza dettate dalla conferenza di Yalta ed iniziò la Guerra fredda che terminò solo il 9 novembre 1989.
Il soldato Ivan però alla fine della guerra, e dopo essere stato arrestato ed avere rischiato di morire, non volle tornare a casa, ma volle rimanere in Italia. Si stabilì nel Bergamasco (precisamente a Spirano), trovando lavoro e sposandosi con una donna del luogo. Il 6 aprile 1959 i due ebbero un figlio e lo chiamarono Pietro, un nome italiano, anche se avrebbero potuto dargli un nome sovietico.
Ivan impose a Pietro una ferrea disciplina e la passione per il lavoro: lo stesso Ivan dopo la guerra dovette “reinventarsi” e lavorò in diversi settori ed aveva di che insegnare al figlio. Pietro sembrava indirizzato a diventare un operaio o un idraulico, ma aveva un sogno: diventare un calciatore professionista. Non che fosse più facile rispetto all’idraulico, ma un conto era correre in un rettangolo verde di gioco, un conto era cambiare e sistemare tubi.
Pietro iniziò a giocare con la Romanese, squadra di Romano di Lombardia, in Provincia di Bergamo, allora in Interregionale, ed il suo ruolo era quello di stopper, ovvero il granitico difensore che c’è tra l’attaccante avversario ed il proprio portiere. Il giovane Pietro aveva due caratteristiche: era forte fisicamente, era ruvido nei contrasti.
Il ragazzo ci sapeva fare, era bravo, promettente e nell’estate 1976 arrivò la chiamata del Como: il club lariano era appena retrocesso in Serie B e aveva trovato in quel giovane difensore forte e ruvido la persona giusta cui assegnare le chiavi della difesa e tentare l’assalto alla massima serie. Pietro Vierchowod giocò con i lariani cinque stagioni, vincendo un campionato di Serie C1 ed uno di Serie B. Non male per un ragazzo che era indirizzato a diventare un idraulico.
Pietro ce l’aveva fatta a giocare in Serie A e vi debuttò alla prima giornata nella partita casalinga contro la Roma al “Sinigaglia” il 14 settembre 1980. Quella stagione giocò 30 partite (ovvero tutte) e la squadra comasca si salvò. Sempre non male per un ragazzo che pensava di fare l’idraulico.
Il giocatore si confermò duro nei contrasti, non tirandosi mai indietro e voleva sempre arrivare prima sulla palla, anche a costo di buttare giù l’attaccante di turno. Piaceva. Questo modo di giocare piaceva tanto che molte squadre bussarono alla porta dei lariani per chiedere informazioni su questo difensore dal cognome difficile da scrivere e da pronunciare benché fosse italianissimo. Ad avere la meglio fu la Sampdoria di Renzo Ulivieri, neopromossa in Serie A in contemporanea con la salvezza del Como. Ma il giocatore fu dato in prestito per altre due stagioni in Serie A: ad appena 22 anni, Vierchowod sapeva di poter avere ancora ampissimi margini di miglioramento e si giocò al meglio quell’opportunità. Il Presidente Mantovani lo accontentò e lo “parcheggiò” un anno a Firenze (stagione 1981/1982) e quello successivo a Roma (stagione 1982/1983). Sempre non male per uno che pensava di fare l’idraulico.
Furono due campionati importantissimi per la formazione e per la carriera di Pietro Vierchowod: la Fiorentina si spinse fino al secondo posto in classifica (miglior posizione viola dai tempi dello scudetto del 1969) contendendo lo scudetto alla Juventus, mentre con la Roma vinse addirittura lo scudetto. E lo vinse da protagonista, con i galloni di leader della difesa nonostante i 23 anni. Sempre non male per uno che era destinato a fare l’idraulico.
Vierchowod, diventato nel frattempo lo Zar (per ovvie ragioni), nell’estate 1983 approdò definitivamente alla Sampdoria, costruita da Mantovani per diventare un top team a livello nazionale. Ovviamente il giocatore non fu più prestato a nessun’altra squadra perché ora Pietro Vierchowod era diventato uno dei più forti difensori d’Italia.
Rimase sotto la Lanterna blucerchiata per dodici stagioni consecutive, contribuendo a rendere grandissima quella Sampdoria vincendo uno scudetto, quattro Coppe Italia, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa italiana sotto la guida di Vujadin Boškov. Unico cruccio, non aver vinto la Coppa dei Campioni, accarezzata solo nella notte di Wembley e strappata via da una punizione-bomba di Koeman che decise ai supplementari il match contro il Barcellona. Era il “Dream team” di Cruijff, ma anche quella Samp non scherzava. Lo stesso Barcellona di Cruijff aveva sconfitto i doriani il 10 maggio 1989nella finale di Berna e nei dodici anni in maglia doriana, Vierchowod perse anche due finali di Coppa Italia, tre finali di Supercoppa italiana, una di Supercoppa europea (la prima con due squadre italiane in finale). Nulla da eccepire: la Samp era davvero una squadra competitiva in quel periodo, magari un po’ troppo sfortunata.
Il ciclo di quella Sampdoria era però finito e per dodici anni tante società chiesero informazioni al presidente Mantovani notizie su Pietro Vierchowod, ma il giocatore non volle lasciare Genova per almeno due motivi: si trovava benissimo; aveva un patto con i compagni in cui stabilirono che fino a quando non avrebbero vinto lo scudetto nessuno avrebbe lasciato Genova. E fino all’estate 1992, fino alla finale di Wembley, nessuno lasciò la maglia blucerchiata. Poi avvenne la diaspora, anche a seguito della morte dello stesso Mantovani.
Anche lo Zar lasciò Genova e raggiunse, nell’estate 1995, gli ex compagni Vialli, Lombardo e Jugovic alla Juventus alla corte di Marcello Lippi, ex giocatore ai tempi della stessa squadra blucerchiata: la squadra bianconera, allora fortissima, era stata costruita per vincere la Champions League dopo aver vinto lo scudetto la stagione precedente. E la squadra vinse la Champions League superando, nella finale dell’”Olimpico” di Roma, l’Ajax ai rigori. Quanta ex Samp in quella finale: lo Zar titolare in difesa, Jugovic che segna l’ultimo rigore e Vialli che, da capitano, alza la coppa al cielo. Tutto sempre non male per uno che era destinato a diventare un idraulico.
Ormai la carriera di Vierchowod era completa: aveva vinto tutto partendo dalla provincia. A 37 anni poteva ritirarsi ed invece, chiusa la parentesi bianconera (con la vittoria della Supercoppa italiana contro il Parma), si accasò al Perugia di Gaucci ma entrò subito in rotta di collisione con Giovanni Galeone, tecnico della squadra, e come arrivò a Perugia se ne tornò indietro.
Passò al Milan di Oscar Washington Tabarez. Corsi e ricorsi storici: prima di andare al Como fu bocciato ad un provino con i rossoneri e nel 1990 Berlusconi voleva in rosa Vierchowod ma l’affare non andò in porto. Ora l’affare era possibile: peccato che quella stagione fu negativa per il Milan con lo stesso Zar che giocò in tutto solo diciotto partite, di cui molte come sostituto dell’infortunato Baresi.
Nuovamente appiedato e con l’età non più verdissima, nell’estate 1997 lo Zar di Calcinate si accasò al Piacenza, rimanendovi tre stagioni e chiudendo la carriera il 14 maggio 2000. Quella contro il Torino al “delle Alpi” fu la sua 562 presenza in massima serie e ad oggi è il settimo giocatore con più presenze in Serie A della storia.
Chiusa la carriera da calciatore, Vierchowod si dedicò alla panchina allenando Catania, Florentia Viola (primo allenatore del nuovo corso viola), Triestina, gli ungheresi della Honved e gli albanesi del Kazma con poca fortuna. Come poco fortunata fu la sua esperienza in Nazionale. Nonostante fosse stato convocato da Enzo Bearzot per il Mondiale spagnolo del 1982, lo Zar avrebbe potuto giocare la finale contro la Germania Ovest per via dell’infortunio di Antognoni, ma all’ultimo il “Vecio” gli preferì Bergomi. Fatto sta che anche lui è campione del Mondo.
Esordì in Nazionale in Uruguay al Mundialito (un torneo celebrativo della FIFA cui presero parte le allora cinque vincitrici del Mondiale salvo l’Inghilterra più l’ultima finalista mondiale, l’Olanda), il 6 gennaio 1981 contro l’Olanda, mentre la sua ultima partita fu il 14 aprile 1993 contro l’Estonia a Trieste. Il giocatore fu convocato da Bearzot già quando militava nel Como, risultando ancora oggi l’unico lariano ad avere giocato in Nazionale.
Sotto la guida di Bearzot, Vierchowod prese parte al Mundial spagnolo e a quello messicano: nessuna partita nel primo, quattro nel secondo. Con il passaggio del testimone di Commissario tecnico da Bearzot ad Azeglio Vicini, Vierchowod uscì dai radar della Nazionale, tornandovi quasi quattro anni dopo.Prese poi parte al Mondiale italiano del 1990, giocando tre partite (su sette) ma con l’arrivo di Sacchi in panchina ebbe sempre meno spazio, spiegando al nuovo Commissario tecnico di non voler essere convocato per Usa ’94. Con il senno di poi, Pietro Vierchowod avrebbe magari giocato visto l’infortunio accaduto a Baresi, ma né lui né Sacchi potevano sapere che capitan Baresi si sarebbe infortunato a Mondiale iniziato.
Emblema di una scuola difensiva che ha fatto proseliti nel Mondo, Pietro Vierchowod è stato sempre etichettato come un duro, come uno che in un contrasto non si tirava mai indietro e se c’era da andare giù pesante, andava giù pesante. Eppure era veloce, molto veloce.
In carriera ha anche avuto modo di segnare ben 46 reti complessive (Nazionale compresa), una bella cifra per uno che è stato un difensore ruvido e propenso al porgere l’altra guancia. Il suo gol più importante risale alla stagione 1998/1999, quando siglò il gol salvezza contro la Salernitana all’ultima giornata. Aveva 40 anni, 1 mese e 10 giorni, diventando il secondo marcatore più anziano della storia della Serie A a segnare dopo Piola (secondo), anche se poi fu superato da Costacurta.
Grezzo, ruvido e veloce: queste sono state le caratteristiche di un giocatore che ha contribuito a rendere grande il nostro calcio. Nonché uno dotato di spirito di adattamento e fiuto del gol. Un difensore vecchio stampo molto preciso e forse meno incensato di quanto avrebbe meritato. Ha avuto la “sfortuna” di giocare ai tempi dei vari Bergomi, Baresi, Maldini e Tassotti, ma ancora oggi Pietro Vierchowod è emblema della categoria “difensore roccioso”.
Questa è stata la storia di Pietro Vierchowod detto lo Zar, uno che era indirizzato alla carriera di idraulico e che si ritrovò a togliere la palla dai piedi di Zico, Maradona, van Basten, Platini, Van Basten, Gullit, Signori, Batistuta, Ronaldo, Totti e tutto il meglio del calcio mondiale quando la nostra Serie A era davvero il meglio del calcio mondiale. E oggi anche lui, con il suo sguardo da duro ed il capello ricciolo, rientra nel novero dei grandi interpreti dalla scuola italiana dei difensori.
Non sappiamo però se a casa i tubi li cambia lui o chiama qualcun altro.
Articolo a cura di Simone Balocco