Byron Moreno: “Dopo Italia-Corea mi hanno offerto tanti soldi. Rosso a Totti? Non guardo in faccia nessuno”
Scrive FanPage, sono ormai vent’anni che il nome di Byron Moreno è tristemente noto in Italia. L’arbitro del famigerato incontro degli ottavi di finale del Mondiale 2002 tra la Corea del Sud e la Nazionale allora allenata da Giovanni Trapattoni, risponde con tranquillità via telefono dalla sua Quito, in Ecuador. Attualmente impegnato come opinionista in un programma calcistico locale, si sincera con sicurezza e argomentando le sue discusse scelte in occasione di quella storica partita, riconoscendo di essere diventato in pochi minuti un personaggio non gradito, ma cercando di trasmettere l’assoluta consapevolezza di aver agito in buona fede.
Moreno, lei non ha mai giocato a calcio, eppure è entrato nella storia di questo sport. “Fin da piccolo ho seguito mio padre, dirigente del Deportivo Quito. Lo accompagnavo ovunque, e mi appassionai a questo sport. Ma non riuscì a sfondare come calciatore, quindi mi dedicai all’arbitraggio. Feci il corso a 18 anni con l’intenzione di riuscire a diventare arbitro internazionale, qualcosa che per un ecuadoregno non è mai stato facile. E ci sono riuscito”.
La sua carriera, però, è durata poco.
“Mi sento più che realizzato, dato che sono stato l’unico arbitro dell’Ecuador ad aver arbitrato sia in Copa Libertadores sia a un Mondiale”.
Al Mondiale arbitrò una sola partita, restata tristemente famosa in Italia. A 20 anni da quella serata di Daejeon crede ormai che quell’incontro sia stato uno spartiacque nella sua carriera?
“In un certo modo sì, perché l’impatto mediatico di quanto accaduto fu importante. Diciamo che in quell’occasione il mondo intero fece la mia conoscenza. Ma non ha avuto niente a che vedere con il mio ritiro dall’arbitraggio, avvenuto un anno dopo. In quel caso fu per una questione personale per quanto accadde nel mio paese”.
Quell’arbitraggio in Corea, però, fu in mondovisione, ed ebbe molte ripercussioni…
“Non esistono arbitraggi perfetti. Quella partita ha rappresentato un episodio importante nella mia vita arbitrale, ma tutti abbiamo il diritto di sbagliarci mentre siamo vivi. Solo i morti sono infallibili”.
Potremmo dire che quella partita è finita con l’essere più trascendente dello storico Inghilterra-Argentina, quella del famoso gol di Maradona con la mano?
“Non direi. Siamo onesti, non è corretto dire che in Corea-Italia l’influenza dell’arbitro sia stata decisiva. Sul gol dell’Italia Vieri era stato trattenuto, e se non avesse segnato avrei fischiato il rigore. Sul pareggio della Corea Panucci tocca con la mano, faccio correre e la Corea segna. E il golden gol di Ahn fu su un’azione pulita. Non credo che le mie decisioni abbiano influito sull’andamento della partita”.
Cosa dice del gol annullato a Tommasi, in posizione regolare?
“In quel caso mi appello al regolamento, che diceva chiaramente che colui che si trovava più vicino all’azione aveva potestà di convalidare o meno la stessa. L’assistente, più vicino di me, alzò la bandierina, e io fischiai fuorigioco. Oggi con il VAR sarebbe stato diverso, è chiaro. Sarei andato a rivedere l’azione e avrei cambiato l’esito della chiamata”.
E l’espulsione di Totti?
“Totti era stato già ammonito, quindi correva pericolo di espulsione. Prima dell’episodio nell’area di rigore coreana era stato protagonista di un’altra situazione ambigua, alzando il gomito su un avversario e colpendolo in modo imprudente, ma non lo espulsi. Poi, quando cadde in area, applicai il regolamento, che diceva di punire duramente i tentativi di simulazione. È vero che lui venne toccato dal difensore, ma quest’ultimo aveva prima preso la palla e Totti si lasciò andare troppo facilmente, cercando il rigore. Appena cadde i coreani mi gridarono ‘Yellow card’, quindi controllai il mio taccuino, vidi che era ammonito e tirai fuori il rosso”.
Aveva appena buttato fuori il fuoriclasse più atteso da un intero paese.
“Nella mia preparazione da arbitro ho capito di non dover mai guardare in faccia nessuno. In quel momento agii rapidamente, senza neanche pensare a chi fosse diretta la sanzione”.
Quella decisione è ancora oggi molto criticata. Ci sono state anche accuse di corruzione nei suoi confronti…
“Io posso rispondere per me stesso, con la coscienza tranquilla. L’espulsione a Totti non fu in alcun modo premeditata. E il giorno dopo ho lasciato la Corea, perché il mio Mondiale finiva lì. Nient’altro”.
In che momento si rese conto di essersi inimicato un paese intero?
(Sospira). “Appena arrivai in hotel. Notai una grande agitazione da parte dei giornalisti e dei media. In quel momento mi resi conto che era successo qualcosa di diverso, qualcosa a cui non ero abituato. Eppure in Italia ero andato sia prima sia dopo. Dopo la partita in questione mi hanno offerto tanti soldi da varie trasmissioni televisive, ma non ho mai avuto bisogno di danaro per dire la verità, per dare la mia versione delle cose”.
C’è stato un momento in cui ha avuto realmente paura?
“No, davvero. Nonostante fossi un giovane arbitro avevo alle spalle molta esperienza, ed ero sicuro di aver preso le scelte giuste. L’arbitro deve essere sempre molto preparato”.
Come fece a mantenere la calma quando alcuni giocatori italiani le andarono incontro dopo l’espulsione di Totti?
“Prima del Mondiale effettuai un’intensa preparazione psicologica, tra l’altro tutta a mie spese. Essere arbitro richiede una forte calma, dell’autocontrollo, oltre a reggere una forte pressione. Mi toccò dunque imparare alcune tecniche di concentrazione per rimanere impassibile e impermeabile a comportamenti esterni, per poter così prendere le migliori decisioni”.
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