Bernardeschi: “Non ho rimpianti, ho realizzato i miei sogni. In Italia il calcio è un’ossessione”

Photo LiveMedia/Gianluca Ricci Cagliari, Italy, April 09, 2022, italian soccer Serie A match Cagliari Calcio vs Juventus FC Image shows: Bernardeschi (Juventus) portrait LiveMedia - World Copyright

Riporta TMW, Federico Bernardeschi, esterno d’attacco del Toronto FC ed ex Juventus e Fiorentina, ha parlato ai microfoni di DAZN in occasione dello speciale dedicato a lui, Insigne e Criscito: “Noi in Italia viviamo il calcio forse più come un’ossessione. Noi ovviamente giochiamo per i tifosi e dobbiamo anche essere grati a questo, ma secondo me, nella vita, ci devono essere sempre dei limiti e a volte, purtroppo, noi li abbiamo un po’ superati”.

Ci racconti invece il suo passaggio alla Juventus?
“Quando entrai nello spogliatoio bianconero avevo 23 anni di 23enni non ce n’erano. Buffon, Chiellini, Bonucci, Barzagli, Marchisio, Khedira, Mandzukic, Matuidi… Te ne ho citati 8 che hanno vinto il Mondiale, la Champions… Di cosa parliamo? Del nulla. A 23 anni entrare in uno spogliatoio di questa gente qui… Se sono quello che sono oggi è sicuramente grazie ad una percentualità di quello spogliatoio. Con la personalità, con il carattere, ma comunque con grandissimo rispetto”.

Ha qualche rimpianto?
“No, proprio zero. Ho giocato in un top club europeo, ho vinto tantissimo. Ripeto, sono campione d’Europa, abbiamo fatto un qualcosa di straordinario con i miei compagni in Nazionale. Non so, se chiudo gli occhi e ripenso a quando sono partito da bambino alla Fiorentina e penso ai sogni che avevo, mi rispondo: ‘Questi'”.

Ha mai pensato di non calciare quei rigori in finale dell’Europeo?
“Se uno ha personalità ce l’ha sempre. Io mi sarei sentito male con me stesso a non calciarlo, il mister chiede chi se la sente e in pochi se la sono sentita, lo posso assicurare (ride, ndr). Se li avessi sbagliati c’era tutto il dispiacere del mondo, ma sarebbe stato peggio se non avessi avuto il coraggio di calciarli. È troppo facile, quando le cose vanno bene, pomparsi di ego, gonfiare il petto e fare le cose, diventa più scontato. Invece è quando le cose vanno male che deve uscire quello che sei realmente, è quello che conta. Nella camminata per arrivare a tirare il rigore ti batte il cuore, il campo è infinito, è un qualcosa di indescrivibile. Appena ho preso il pallone in mano e l’ho messo sul dischetto è come se tutto si fosse fermato”.

Come ha scelto Toronto?
“Per fare un’esperienza del genere ci vuole un po’ anche la mente aperta. Non l’avrei mai scelto se prima non fossi venuto a vedere com’era. Avevo la possibilità di rimanere in Italia in due grandi club e ho preso un aereo con scritto Toronto senza che nessuno lo sapesse. Non è Los Angeles o New York, dove vai in vacanza. Era difficile immaginare che andassimo a Toronto. Infatti mi sono portato Deva per far sì che, fosse uscita qualsiasi cosa, io avevo la scusa di essere con mia moglie e la bimba a farmi due giorni in vacanza”.

Ha fatto un passo indietro?
“Ma se tra 5 anni l’MLS diventasse il campionato principale al mondo?”.

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