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Dirceu, lo “zingaro del calcio” si è fermato anche a Eboli

Dirceu perse la vita in un incidente stradale a soli 43 anni nel 1995

Fonte: FanPage.it

Eboli è una cittadina in Provincia di Salerno distante trenta chilometri dal capoluogo nota perché è stata l’ambientazione del celebre romanzo “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi che lo scrittore torinese scrisse durante il suo confino durante il regime fascista in quella parte di Campania.

Anche a Eboli, come nel resto d’Italia, si gioca a calcio e la squadra locale è la ASD Sportiva Academy Ebolitana che questa stagione milita nella Prima categoria salernitana e che in passato si è spinta (con il vecchio nome “Ebolitana”), per una sola stagione, undici anni fa, in Lega Pro II divisione. La squadra ha la maglia biancazzurra e gioca le sue partite casalinghe in uno stadio di quindicimila spettatori, molto grande per la categoria. Uno stadio particolare, l’unico in Italia ed in Europa intitolato ad un calciatore brasiliano, il “José Guimarães Dirceu”.

Questo giocatore ha lasciato ricordi importanti tra i supporter della Ebolitana, come importanti sono stati i suoi trascorsi nel mondo calcistico, avendo preso parte a tre Mondiali e giocando nel massimo campionato brasiliano, messicano, spagnolo ed italiano.

José Dirceu è scomparso il 15 settembre 1995 a Barra da Tijuca, nei pressi di Rio de Janeiro, in un incidente stradale tre mesi dopo aver compiuto 43 anni e dal 2001 l’amministrazione comunale di Eboli ha deciso intitolargli il nuovo stadio cittadino.

Dirceu ha avuto una carriera incredibile. Intanto perché ha cambiato ben quindici squadre tra il 1968 ed il 1995, ma anche perché è considerato come uno dei più forti centrocampisti avanzati verde-oro della sua generazione. E la sua è stata la generazione dei vari Jairzinho, Rivelino, Zico, Eder e Serginho: in mezzo a questi mostri sacri del calcio brasileiro, il minuto Dirceu (170×68) si è fatto le “spalle larghe” ed è riuscito a diventare un ottimo giocatore.

La storia di Dirceu è comune a tanti brasiliani che vogliono giocare a calcio. Il padre era un ex giocatore con un passato tra i dilettanti e voleva che i figli diventassero calciatori professionisti. Le attenzioni ricaddero sul primogenito (dopo di lui verranno al Mondo il fratello Darci e le sorelle Dirce e Dirci). Il padre scommesse molto sul figlio: non aveva un grande stipendio, ma tra lui e la moglie (che aprirà anche un bar a Curitiba, dove abitavano) risparmiarono affinché il piccolo Josè Dirceu potesse emergere. E pazienza se con la palla distruggeva la casa: ‘’sarebbe diventato un campione’’, diceva il padre. Ed il padre, José Ribero, alla fine ebbe ragione: a 13 anni, José Dirceu entrò nelle giovanili del Curitiba arrivando presto in prima squadra e vincendo un campionato regionale ed un Paranaense (una sorta di campionato regionale). Ma Curitiba era stretta per il suo talento e allora Josè Dirceu fece le valigie e si spostò nella capitale “calcistica” del Brasile, Rio de Janeiro. 

Era il 1973 e Dirceu rimase a Rio fino al 1979, militando nel Botafogo, nella Fluminense e nel Vasco da Gama. Vinse tornei carioca, titoli nazionali e si impose come un vero talento del calcio brasiliano. Il ragazzo migliorò di volta in volta anche perché ebbe la possibilità di giocare con i migliori calciatori del Brasile del tempo, in particolare Jairzinho, il suo padre “calcistico”. 

José Dirceu veniva chiamato “la formica” perché nonostante la stazza non eccelsa, in campo era sempre in movimento ed in cerca della giocata migliore per servire al meglio i compagni. Il giocatore venne convocato per i Campionati del Mondo di Germania Ovest ‘74 e Argentina ‘78, dove la sua rete condannò l’Italia di Bearzot al quarto posto nella “finalina”. L’allora centrocampista in forza al Vasco da Gama venne premiato come terzo miglior giocatore del torneo dopo Mario Kempes e Ruud Krol. La sua fama era nota ovunque e a sorpresa, dopo il Mondiale, il centrocampista di Curitiba partì alla volta del Messico accettando l’offerta dell’America, ma la stagione con la squadra della capitale non fu esaltante e decise di prendere un altro aereo e volare nel Continente che aveva i campionati migliori: atterrò in Europa, atterrò a Madrid. Dirceu si legò per tre anni all’Atlético Madrid. 

Neanche in Spagna mise radici e cosa poteva fare un calciatore brasiliano che sapeva di voler diventare un calciatore completo? Prendere ancora una volta e spostarsi più a est: Italia, Serie A. Che a 30 anni, Dirceu possa aver trovato la sua consacrazione, la volontà di fare radici e creare cicli? Lui si consacrò, ma niente radici.

Dirceu arrivò nel nostro Paese dopo il Mundial spagnolo dove lui ed il suo Brasile vennero estromessi dall’Italia di Bearzot trascinata da un clamoroso Paolo Rossi: se quattro anni prima Dirceu aveva fatto gongolare il Brasile con il suo gol decisivo contro Zoff, quattro anni dopo lui e i verde-oro del futbol bailado si leccavano le ferite per l’eliminazione e Zoff alzava la Coppa del Mondo a Madrid l’11 luglio 1982. Per i bookmakers, sarebbe stato il Brasile a vincere in carrozza il Mundial: si sbagliarono.

Fonte Foto: angolodiphil.it

Dirceu era cercato dalla Roma dove già giocava l’amico Falcao. Niente accordo sulla durata del contratto e Dirceu a spasso: aveva rifiutato le offerte delle grandi del Brasile, del Portogallo, della Francia e ora era ancora libero. “Libero” fino a quando, con una grande gesto di umiltà, decise di andare a giocare in provincia, accettando l’offerta del Verona, squadra neopromossa in Serie A dove mancava da cinque anni.

L’allora allenatore dei gialloblu, il “mago della Bovisa” Osvaldo Bagnoli, non fu molto contento del suo arrivo in quanto sarebbe stato difficile da collocare e perché pensava fosse venuto a svernare. Ma i tifosi erano gasatissimi per il suo arrivo, si abbonarono in massa certi che quella squadra li avrebbe fatti sognare. E la stagione fu incredibile: quarto posto in campionato, qualificazione UEFA e finale di Coppa Italia persa contro la Juventus.

A Verona, Dirceu fece benissimo, la piazza lo amava, i compagni beneficiarono della sua presenza fuori e (soprattutto) dentro il campo, ma il giocatore ebbe il contratto di solo un anno. Alla scadenza il contratto non fu rinnovato, si trovò ancora libero ed accettò l’offerta del Napoli di Corrado Ferlaino che voleva vincere un giorno lo scudetto. Dirceu si spostò di 700 chilometri e arrivò sotto il Vesuvio: i veronesi non gli perdonarono mai quello sgarbo e la dirigenza, anche se incassò un bel bonifico, si mangiò le mani (anche se due anni dopo vinsero addirittura lo scudetto).

A Napoli giocò con Ruud Krol, l’altro straniero del club: in maglia azzurra si erano ritrovati il secondo ed il terzo migliore giocatore di Argentina ’78. I tifosi partenopei iniziarono a sognare anche loro e Dirceu fece bene, risultando uno dei migliori della rosa. Peccato che i partenopei si salvarono per un punto da una incredibile retrocessione. La scorsa successiva Ferlaino, che voleva sempre vincere lo scudetto, portò a Napoli contemporaneamente Daniel Bertoni e Diego Armando Maradona. Per Dirceu non ci fu più spazio perché nel nostro campionato c’era il limite dei due stranieri per squadra. Dirceu lasciò Napoli e si stabilì (calcisticamente) ancora in provincia: Ascoli, Como e Avellino in tre anni. Con i ‘’lupi’’ giocò il suo calcio migliore e la squadra si issò addirittura all’ottavo posto finale, miglior posizione di sempre. Se Avellino è stata l’esperienza top, Ascoli è stata il flop tanto che i marchigiani alla fine della stagione 1984/1985 retrocedettero (e non per merito della “formica” di Curitiba).

Ma se uno è zingaro, è zingaro: Dirceu salutò anche Avellino, tornò con tutta la famiglia in Brasile e firmò con il Vasco, ma la sua carriera era ormai in fase discendente.

Andò giocare poi nella serie cadetta Usa ma, nel 1989, il colpo di scena: Dirceu tornò in Italia, precisamente in Campania. La nuova squadra di Dirceu sarebbe stata l’Ebolitana, squadra dell’Interregionale della provincia di Salerno. Il ragazzo non si era dimenticato dell’affetto dei tifosi campani nei suoi confronti e, come nel 1982 a Verona, Dirceu, con grande umiltà e passione, accettò l’offerta di Luigi Cavaliere, presidente del club conosciuto durante l’esperienza avellinese, e si apprestò a giocare ancora una volta nello Stivale. 

Cavaliere lo invogliò a tornare in Italia, anche se lontano dai riflettori. A Dirceu, questo non interessava: accettò, firmò e per due anni incantò la Eboli calcistica. Divenne il primo brasiliano con un passato in Serie A a militare nei dilettanti, anche se per tesserarlo Cavaliere faticò tantissimo per rispettare alcune pratiche burocratiche. La partita di benvenuto fu addirittura un’amichevole a Salerno tra la Ebolitana ed il Bangu, club brasiliano allenato dalla leggenda verde-oro Didì.

I tifosi ebolitani iniziarono a sognare in grande, tanto che seguirono in massa la squadra, riempendo il “Massaioli”, lo stadio cittadino. Tutti pensarono che con Dirceu in squadra sarebbe stata assolutamente Serie C2, categoria sempre sognata dalla torcida locale. Perché anche se sarebbe stata solo la quarta serie nazionale, per una piazza che ha sempre giocato nei dilettanti, la C2 era come il paradiso (calcistico) in terra.

Lo stadio di Eboli però non era molto all’altezza della situazione tra campo, spalti ed organizzazione. La notizia dell’arrivo di un giocatore come Dirceu fece muovere la cittadinanza che, grazie al lavoro del presidente Cavaliere nell’ambito vivaistico, portò lo stadio ad essere un gioiellino pronto per vedere sgambettare il talento di Curitiba. In più José Dirceu spedì dal Brasile diverse maglie giallo-verdi come la maglia della Seleçao: da quel momento, la squadra ebbe quei colori come away shirt.

Dirceu sembrava essere tornato ai tempi veronesi e di Avellino: tutti lo amavano, lui amava tutti. Firmava autografi, si concedeva a chiacchere con i tifosi e a prendere il caffè nei bar. Mai nessuno con così tanto talento aveva giocato a Eboli, mai nessun giocatore che aveva disputato tre Mondiali si era affacciato nella città di san Vito: i tifosi si vedevano già promossi in C2. L’ingaggio del giocatore, inoltre, era stratosferico per la categoria per i tempi, ma Dirceu è sempre Dirceu anche se aveva 37 anni ed erano quattro anni che non giocava più ad alti livelli.

Ma con José Dirceu, la tanto agognata Serie C2 non arrivò e qualche maligno disse che Dirceu non si fosse impegnato abbastanza, alludendo al fatto che per contratto era autorizzato ad andare “in ferie” in Brasile tra dicembre e gennaio, con ricadute negative per la squadra in campo. Nel 1991, dopo essere andato in doppia cifra a Eboli nelle due stagioni precedenti, firmò con il Benevento, altra squadra campana di Serie D. Ma anche con la “strega”, la promozione non arrivò.

Siamo nel 1992, José Dirceu ha 40 anni, fisicamente c’è ma non ha più il passo degli anni d’oro e decide di lasciare l’Italia firmando con un altro club messicano, tornando nel Paese che diciassette anni prima lo aveva accolto quando aveva lasciato il Brasile per la prima volta. 

Tra una partita e l’altra, Dirceu si ritirò nel 1995, a 43 anni, dopo aver giocato anche tra Bologna e Ancona nelle compagini locali di Serie A e Serie B di calcetto. Già ai tempi di Eboli, inoltre, aveva trovato un lavoro perché i dilettanti non sono professionisti ed aveva aperto un’attività di noleggio auto con conducente.

Poi il 15 settembre 1995 la tragica notizia: la morte in un incidente automobilistico a Barra da Tijuca, periferia di Rio. In macchina con lui c’era Pasquale Sazio, amico ed ex compagno di squadra. La notizia sconvolse tutti, visto che Dirceu aveva lasciato buoni ricordi ovunque era andato a giocare e poi perché era giovane e padre di famiglia.

A sei anni dalla sua morte, nel 2001, il Comune di Eboli dedicò il nuovo stadio alla memoria di José Dirceu, il più forte giocatore che mai aveva vestito la casacca biancoazzurra.

27 anni fa, il destino strappò la vita di questo calciatore brasiliano umile, passionale e amante del calcio. Uno che nella vita si era rimboccato le maniche (e stretto gli scarpini) facendo vedere al Mondo quello che era capace. Indistintamente nelle grandi piazze quanto in provincia. Anche quella più remota.

A Eboli non lo hanno mai dimenticato il loro campione ed ogni volta che un giocatore della Ebolitana, un avversario o un tifoso quando varca la soglia del ‘Dirceu José Guimarães” non può non pensare a quel giocatore piccolo, riccio ma con un grande piede sinistro.

Parafrasando Carlo Levi, José Dirceu si è fermato ad Eboli e ha capito che quello era il posto più mainstream dove aveva mai giocato, dove si fusero passione per il calcio e passione per i colori azzurri della squadra locale che nei suoi (quasi) cento anni di storia ha accarezzato solo una stagione il professionismo. Lui però non riuscì a portare il club tra i professionisti: gli dispiacque molto.

José Guimarães Dirceu detto la ‘’formica’’ lo hanno definito ‘’zingaro del calcio”. E se invece fosse stato quello il suo modo per fare vedere a più persone possibili il suo talento? 

Articolo a cura di Simone Balocco

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