Italiano prima e dopo il turn-over: qual è quello vero? Jovic e Barak elementi indispensabili
C’era una volta un allenatore talebano, Italiano di nome e di fatto, fulgido profeta (dopo Zeman) del 4-3-3. Fissato, soprattutto, con il turn-over: un portiere per la coppa uno per il campionato, un terzino per la coppia uno per il campionato, un centravanti per la coppa uno per il campionato… e via andare. “Mi serve per far sentire tutti importanti” recitava il buon Vincenzo. Questo fino alla disfatta di Istanbul contro il Basaksheir, uno 0-3 senza discussioni farcito da errori ed orrori.
Da allora, tra i pali, il titolare è Terracciano, sulla fascia destra sparisce Venuti e torna titolare Dodò, con (in caso di infortunio del brasiliano) l’utilizzo di un giovane serbo (Terzic) che il piede destro lo usa solo per salire sull’autobus. A centrocampo spariscono Maleh (sempre titolare nella prima parte di stagione) e Duncan (il ghanese, in Turchia, era entrato nella ripresa). In attacco, poi, scompare Cabral (soppiantato da Jovic) col rampante Kouamè che da quel giorno non uscirà più di squadra. Cinque personaggi in cerca di autore, di quell’allenatore che (vale ribadirlo) sosteneva: “ho bisogno di tutti, il turn-over serve a questo”.
Ciliegina sulla torta, infine, la variazione del modulo: centrocampo che spesso passa a due, un uomo tra le linee che sale a collegare i reparti, di conseguenza maggiori inserimenti, maggiore imprevedibilità. E allora, qual è il vero Italiano? Quello convinto delle proprie idee, oppure quello che abbandona il turn-over e fa fuori (definitivamente?) quattro-cinque elementi? Ora, qualcuno potrebbe dire: bravo mister, solo gli imbecilli non cambiano idea. Ok, d’accordo con voi. Però ci dovrà pur essere una via di mezzo: i cinque minuti concessi a Cabral, per esempio. Il brasiliano non ha giocato in Scozia, non ha giocato con la Lazio (esce Kouamè, entra addirittura Saponara), non gioca neppure contro gli Hearts, come pensa Italiano di recuperarlo? Con tre competizioni da giocare (Conference, Coppa Italia e campionato), tre punte servono come il pane: non era meglio creare finalmente delle gerarchie, dando comunque minutaggio alle cosiddette riserve senza elemosinare le briciole che sanno di umiliazione? Con quale spirito si ripresenterà Arturone un giorno che ci fosse bisogno di lui?
Stesso discorso vale per Venuti, Maleh, Duncan, etc, etc… A proposito di Jovic: pur senza strabiliare, il serbo si è mostrato una volta di più fondamentale per la manovra viola. Oltre a far gol (alla buon’ora) Luka arretra, funge da tre-quartista, dialoga con i compagni, mette a disposizione la sua tecnica proprio dove la qualità scarseggia. Lo stesso per Barak: il ceco, oltre ad inserirsi e puntare la porta, si fa vedere per ricevere palla, si gira ed imposta l’azione d’attacco. Cosa che, non ce ne vogliano, nè Mandragora nè (tanto meno) Amrabat riescono a fare. Insomma, nessun effetto speciale sul fronte occidentale, i due sopracitati (specialmente Jovic) devono fare molto di più, però l’importante è cominciare, crederci e dare continuità. A cominciare dall’allenatore.
Editoriale a cura di Stefano Borgi