Prima o poi doveva accadere. Dopo 14 risultati utili consecutivi, doveva e poteva accadere. Magari in modo più dolce, meno melodrammatico, ma tutti sapevamo che la sconfitta sarebbe arrivata. Fortunatamente senza conseguenze. Eppure era già successo, contro il Braga, ed anche in quell’occasione andò bene. Oggi, se possibile, siamo andati oltre. Eh già perché la Fiorentina, per otto lunghissimi interminabili minuti, è stata ai supplementari. Con i rigori dietro l’angolo. Dopo il terzo gol di Sobiech sono riapparsi i fantasmi del Borussia di Monchengladbach (ricordate? C’era Paolo Sousa in panchina), quando prendemmo quattro gol in un amen ed uscimmo dall’Europa. E allora, perché? Perché la squadra (allenatore compreso) ha sbagliato di nuovo l’approccio alla partita? E poi l’arbitraggio: ok, è stato vergognoso ai limiti del ridicolo. Tutto contro i viola, tanto che il primo tempo doveva finire 1-1 con i polacchi in 10. Ma l’Europa non è l’Italia, arbitri compresi. I calciatori devono saperlo. Soprattutto devono tenere i nervi saldi anche di fronte alle provocazioni. Anche quelle dell’arbitro.
Perché non succede? Mancano personalità, carattere, esperienza… manca l’allenatore in campo. Qualcuno dirà… anche in panchina, con Italiano che ne ha azzeccate poche. Le scelte di Venuti e Mikenkovic (in diffida, ammonito, squalificato), il cambio tardivo di Jovic, sono particolari che non ci hanno convinto. Ma tornando al rettangolo verde, quanto manca un Carlos Dunga, un Liverani, un Pizarro a questa Fiorentina? Uno che detta i tempi, calma gli animi, uno che sappia parlare con l’arbitro, ammansirlo, coccolarlo. E invece, Biraghi dixit, la Fiorentina si è fatta prendere dal nervosismo fino a sbagliare le cose più semplici.
A proposito… contro il Lech è stato probabilmente il canto del cigno di Luka Jovic. Un cigno svogliato, indolente, persino fastidioso. Un cigno (con le scarpette da calcio) che semplicemente non corre, ma al contrario cammina, passeggia. Che considera la Fiorentina non alla sua altezza, che non porta rispetto ai compagni, a chi lo paga, che per il solo fatto di aver giocato nel Real Madrid ed essere costato 60 milioni di euro, pensa che tutto gli sia dovuto. Contro il Lech, però, è arrivato il verdetto finale: Luka Jovic è stato bocciato. La gente non crede più in lui, non è più disposta a dargli un’altra possibilità. Lo hanno detto i fischi assordanti che il Franchi gli ha tributato al momento del cambio con Cabral. Peccato perché il serbo ha qualità e talento come pochi, ma nel calcio (come nella vita) non bastano. Auguri.
Editoriale a cura di Stefano Borgi
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