“Con una scivolata ho ferito un collega. Vialli mi disse che mi ero fatto rispettare”

Fonte Foto: ilfattoquotidiano.it

Recentemente è uscito il libro di Fabio Caressa intitolato “Grazie Signore che ci ha dato il calcio”, oggi vi proponiamo un aneddoto relativo al Mondiale del 2006: “La nostra base operativa era a Casa Italia, organizzata all’interno dello stadio di Duisburg, il nostro balconcino dello studio sulle tribune del campo, e tanto per cambiare nel tardo pomeriggio si organizzavano partite tra noi e gli inviati delle altre testate. Un giorno vennero a trovarci alcuni dei nostri talent che erano in giro per la Germania, tra loro ancora Zvone Boban e proprio Gianluca Vialli.

Fino a quando ho avuto la forza di stare in campo ho giocato in fascia a destra, perché correvo abbastanza e mi capitava, per puro caso, di fare qualche gol, sebbene, come mi disse una volta Beppe, dovessi rimanere concentrato in fase difensiva, perché giocavo molto meglio senza palla che con. Io ero molto diligente nello svolgere il compito, anche se a pensarci bene la cosa era messa giù in modo carino, ma non doveva essere un grande complimento.
Comunque, il generoso Caressa cercava di fare pressing e di essere un rompiscatole, cosa che peraltro mi riesce benissimo anche nella vita. Forse avevo un filo esagerato, perché uno degli avversari, mentre attendevo la battuta di una rimessa laterale, iniziò a colpirmi forte sullo sterno: un paio di gomitate e pure un cazzotto. Questo è uno dei problemi quando sei in squadra con dei campioni in partite come queste: chi ti gioca contro non può picchiare loro, perché sennò sa come va a finire, e così mena due volte quelli più abbordabili, tipo me e il mio metro e settanta.

Tornando a centrocampo guardo Luca, che sta corricchiando all’indietro, e gli faccio: «Oh, ma il 7 me sta a menà, ma forte me mena». Luca mi guarda, sorride e mi dice secco: «Si vede che non ti fai rispettare». Sarebbe stato meglio se mi avesse dato un cazzotto lui.

Nella mia vita ho ingoiato insulti e critiche senza neanche farmi sfiorare dal dispiacere, fanno parte del mestiere e aiutano a crescere, ma due cose non ho mai sopportato: che mi dessero dell’infame e che potessero pensare che sono un cagasotto. Va bene tutto, ma io rispetto chiunque ed esigo di essere rispettato, l’idea che in campo sembrassi un pappamolle mi mandava in tilt il sistema nervoso. E infatti andai in tilt. Giropalla avversario tranquillissimo a due all’ora, dal portiere a uno dei difensori, da questo a un centrocampista, da lui di nuovo al portiere e poi viene incontro il 7 che vuole la palla.
Non so cosa mi abbia detto il cervello, ma direi che il messaggio che lanciava al mio corpo era del tipo: «Caro avversario, non posso permetterti di umiliarmi così». Che tradotto nella mia lingua madre, il romanesco, suonava più o meno: «Mortaaaaaaaaccci tuaaaaaa, bastardo00000o, me stai a fa fa ‘na figura de mmm umerda con gli
amiciliii».

Prima che il pallone gli arrivi sono già partito in scivolata, a gamba tesa, tra l’altro con scarpini con i tacchetti di alluminio. Quando rinsavisco e provo a evitarlo è troppo tardi, ritiro la gamba ma lo colpisco comunque forte sullo stinco provocandogli una ferita che richiederà due punti di sutura. Sbianco per la paura e gli tendo subito la mano per rialzarlo, l’arbitro tedesco è abituato a quel genere di entrate e mi dà solo il giallo, lui si rimette in piedi, sanguinando, e mi dice solo: «… e che cazzo…» Io mi scuso senza protestare.
Mi vergogno come un ladro e, tornando verso il centrocampo, mi avvicino a Luca e gli dico: «Mi hai caricato come una molla, guarda che mi hai fatto fare!!» E lui, serafico: «Ti sei solo fatto rispettare», ma poi si gira e comincia a ridere.

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