Mi chiamo Francesco Totti, sono romano, romanista e simbolo di un calcio che non c’è più
Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Lucio Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo sono stati i re di Roma durante l’era regia (753 a.C – 509 a.C). Successivamente nacque la Repubblica e Roma non ebbe più re.
Calcisticamente, nei primi anni ’80, si diceva che Paulo Roberto Falcao fosse, metaforicamente, l’”ottavo re di Roma” per quanto fosse forte e determinante con la maglia della Roma. Sotto questo profilo, il vero “ottavo re di Roma” è stato però considerato, anni dopo, un calciatore romano nato lunedì 27 settembre 1976 e che per venticinque anni ha rappresentato con fierezza il popolo romanista in Italia, in Europa e nel Mondo: Francesco Totti.
Oggi Totti è lontano dal calcio giocato, si è gettato nel mondo del management di calciatori, ha una squadra di calcio a otto che fa faville e ultimamente il suo nome è riecheggiato nella cronaca rosa nazionale con alcune rivelazioni sulla sua vita (fu) matrimoniale, ma il “Pupone” è stato altro: è stato colui che, da romano e romanista, ha scritto una grande pagina di calcio giallorosso e nazionale e che è riuscito a dividere l’opinione pubblica come solo i grandi del calcio hanno fatto.
Nato con il mito calcistico di Giuseppe Giannini, Francesco Totti aveva 13 anni quando varcò per la prima volta la soglia di Trigoria: ne aveva quasi 41 quando la varcò per l’ultima volta. Lo volevano, a 13 anni, sia la Roma sia la Lazio: mamma Fiorella scelse per il figlio la Roma. Roma che lo fece debuttare in prima squadra a 16 anni il 28 marzo 1993 quando l’allora tecnico della Lupa, Vujadin Boskov, lo gettò nella mischia negli ultimi minuti di Brescia-Roma. Nove mesi dopo il giovane Francesco debuttò in Coppa Italia contro la Sampdoria ed il 27 febbraio 1994 mister Carletto Mazzone, core de Roma come Totti, lo fece partire titolare in un Roma-Sampdoria di campionato. Il ragazzino di Porta Metronia, la zona di Roma che lo aveva visto crescere, nonostante l’emozione di giocare all’”Olimpico” con la maglia della sua squadra del cuore, non ha subito né traumi da debutto né gambe tremolanti dall’emozione.
Dal debutto al “Rigamonti” sono passate altre 785 partite e soprattutto 307 gol. E con 250 gol segnati in Serie A, Francesco Totti è oggi il secondo marcatore di sempre nella storia del nostro massimo campionato dietro a Silvio Piola che di reti ne ha segnate duecentonovanta. Dal debutto al “Rigamonti”, Francesco Totti è diventato il simbolo di Roma, della Roma e della romanità tanto da vedersi dedicati tre murales in città: uno nel rione “Monti” (dipinto dopo la vittoria dello scudetto del 2001); uno sulla parete della scuola media “Pascoli” nel quartiere Appio Latino (frequentata dallo stesso giocatore); uno alla Garbatella.
Francesco Totti è stato un giocatore completo, un vero goleador, un uomo spogliatoio e, per la “sua” Curva Sud, la Bandiera con la B maiuscola. Un calciatore irripetibile. Lo hanno chiamato “Pupone” non in segno spregiativo, ma per sottolineare che era un eterno ragazzo: questo nick lo ha sempre accompagnato durante la carriera, anche se a lui, in fondo in fondo, non è mai piaciuto molto.
Sono stati due gli allenatori del destino di Francesco Totti: Carlo Mazzone e Zdenek Zeman. Poi è arrivato Fabio Capello con cui ha vinto il campionato, dando il via, all’inizio degli anni Duemila, con la rivale Lazio a duelli incredibili ai vertici della Serie A. E poi l’amore-odio con Luciano Spalletti: con il tecnico di Certaldo, Totti è diventato un bomber implacabile e poi, a seguito di molti screzi, lo stesso Spalletti è diventato l’allenatore che lo ha portato (con qualche polemica) a decidere di ritirarsi dal calcio.
Francesco Totti è sempre stato divisivo: c’è chi lo ha amato e c’è chi lo ha detestato, ma, nonostante questo, lo storico numero 10 della Roma è considerato da tutti come uno dei giocatori più forti della sua generazione. E, sotto sotto, chi lo detestava lo avrebbe voluto avere nella rosa della propria squadra del cuore.
Chissà come sarebbe stata la sua storia (e quella del nostro calcio) se nel 1997 Totti fosse stato ceduto in prestito alla Sampdoria come voleva l’allora tecnico romanista Carlos Bianchi: il “Pupone” aveva 21 anni, era giovane, già apprezzato da media ed addetti ai lavori, ma il tecnico argentino non lo gradiva perché voleva portare a Roma il talentuoso finlandese Jari Litmanen, allora in forza all’Ajax. Franco Sensi, allora presidente della Roma, non era convinto dell’idea del tecnico ex Velez, specie dopo la prestazione dello stesso Totti nel torneo “Città di Roma” del 9 febbraio 1997 quando, in un triangolare tra Roma, Ajax e Borussia Dortmund e con in campo il numero 10 giallorosso e Litmanen, Totti fece faville e Bianchi fu esonerato tempo dopo. La stagione successiva arrivò Zeman che trasformò il “Pupone” umanamente, calcisticamente ed atleticamente. Alla fine dei conti, Sensi aveva avuto ragione. Soprattutto quel 17 giugno 2001 quando, con il 3-1 al Parma all’”Olimpico”, la Roma vinse matematicamente il suo terzo titolo nazionale. Rimarrà iconica l’immagine di Totti, capelli lunghi e fascia bianca tra i capelli, che, dopo aver segnato il gol del vantaggio sotto la Curva Sud, si tolse la maglia per la gioia e capire che lo scudetto si stava avvicinando. Totti con Zeman divenne capitano della Roma e divenne, dopo “Ago” di Bartolomei, il secondo capitano della Roma campione d’Italia nato nella Capitale.
Quando si parla di Francesco Totti però si pensa subito ad una cosa: “poteva vincere di più!”. In effetti questo è vero, perché il suo palmares vede solo la vittoria di uno scudetto, di due Coppe Italia e due Supercoppe italiane. Si chiamano “scelte”: scelte di vincere magari poco ma di vincere quel “poco” con la maglia per la quale si fa il tifo da quando si è piccoli e con la fascia di capitano al braccio. Perché le offerte monstre per lui c’erano, ma Francesco Totti ha sempre rifiutato per amore e per rispetto verso la Roma ed i suoi tifosi.
Si è rifatto in Nazionale, vincendo il titolo mondiale del 2006 con il bagno di folla del Circo Massimo, riempito a distanza di cinque anni dallo scudetto giallorosso, con oltre un milione di tifosi presenti. Ed in Nazionale (dove ha segnato solo nove reti), Totti è diventato iconico per due rigori: il “cucchiaio” nella semifinale di Euro 2000 contro l’Olanda ed il rigore-qualificazione ai quarti di finale al 96’ contro l’Australia proprio a Germania 2006.
Non sono mancati per Totti i momenti tristi, come l’infortunio patito il 19 febbraio 2006 durante Roma-Empoli che gli causò la rottura del perone della gamba sinistra e che gli avrebbe potuto compromettere la partecipazione al Mondiale tedesco, e i momenti negativi, come lo sputo a Christian Poulsen ad Euro 2004 ed il calcio da dietro a Mario Balotelli nella finale di Coppa Italia del 5 maggio 2010. Ma a cancellare tutto, a “ripulire” il tutto, ecco quel Roma-Genoa del 28 maggio 2017 che ha chiuso un’epoca: un’epoca per i tifosi della Roma, un’epoca per gli amanti del calcio.
Dopo quella partita, vinta dai giallorossi che si qualificarono alla successiva Champions League, nessun tifoso, dopo il triplice fischio, lasciò l’”Olimpico”. Anzi, i tifosi presenti sugli spalti avrebbero voluto che quella partita durasse sempre e che non ci fosse mai il post partita. “Post partita” che significava vedere per l’ultima volta Francesco Totti in campo per l’ultima volta con la maglia numero 10 della Roma. Totti era in lacrime, sugli spalti tutti erano in lacrime, i telespettatori a casa che guardavano la diretta erano in lacrime. Pianse anche Daniele de Rossi, altro core de Roma, che la stagione successiva ottenne i gradi di capitano lasciandosi alle spalle l’eterno nomignolo di “Capitan Futuro”. Un’eredità pesante per lui. Molto pesante.
Francesco Totti appartiene alla generazione delle ultime bandiere del calcio, alla generazione dei del Piero, dei Nesta, dei Maldini, dei Baresi, dei Bergomi. Uno che verrà ricordato ad perpetuam rei memoriam come solo i grandi del calcio hanno saputo fare ed essere. Totti è stato un qualcosa di oltre: un raro esempio di devozione ed amore verso quell’unica maglia che ha indossato e che ha voluto assolutamente sempre indossare, rifiutando contratti miliardari e vittorie internazionali (quasi) certe.
Rimarrà celebre il “due aste” apparso quel 28 maggio 2017 durante il momento di addio del giocatore (“Speravo de’ morì prima!”). Ma ognuno di noi deve ringraziare i propri genitori per averci permesso di vedere giocare Francesco Totti da Porta Metronia, detto “Pupone”. Romano, romanista e simbolo di un calcio che non c’è più.
Articolo a cura di Simone Balocco