Baggio: “5 maggio 1985? Incidente stupido. Intervento? Quando vidi la gamba dissi a mia madre di ammazzarmi”

Roberto Baggio, ex calciatore di Juve, Fiorentina ma non solo ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera:

Ti ricordi quel giorno? Era il 5 maggio, data inquietante, del 1985.

«Fu un incidente stupido, avevo appena fatto gol, mi sono buttato in scivolata per un contrasto, ho toccato la palla ma quando mi sono rialzato era come se mi fosse scoppiato un ginocchio. Un dolore impensabile. Ci sono voluti due anni per tornare a giocare. Ma mi ha segnato per la vita. È stato un compagno fedele, non mi ha mai lasciato».

Facesti in Francia un’operazione chirurgica molto difficile.

«Quando mi sono svegliato dall’anestesia e ho visto come era ridotta la gamba mi sono sentito svenire. Mi hanno tolto il muscolo vasto mediale, quello che sostiene ginocchio e gamba, ed era come se mi avessero tagliato i muscoli e ridotto la gamba. Il mio braccio era più grande della mia gamba. Avevano fatto un buco nella tibia, con il trapano, allora unico modo in cui si poteva attraversare il muscolo. Per fissarlo nella parte esterna mi misero 220 punti di sutura con le graffette di ferro. Io non potevo prendere gli antinfiammatori perché ero allergico. Se dormivo non sentivo dolore, ma da sveglio era una tortura, avevo dentro qualcosa di incandescente. Piangevo tutto il giorno, non mangiavo. Ho perso dodici chili. Quando mi svegliai e vidi la mia gamba in quello stato dissi a mia madre che, se mi voleva bene, doveva ammazzarmi».

Ti ha perseguitato a lungo?

«Ho faticato tanto a rimettermi in piedi e a trovare la forza per ripartire. Quando stai male ti può picchiare anche un bambino. Se ti senti meglio tutto torna ad essere possibile, anche giocare al calcio con quella gamba maciullata. La passione mi ha fatto soffrire per soddisfare il mio sogno di bambino».

Quante volte, poi, hai giocato senza sentire dolore?

«Poche, davvero poche. Ho avuto sei operazioni al ginocchio nella mia carriera, non mi sono fatto mancare nulla. A Brescia la mattina mi svegliavo chiedendomi quale dei due mi avrebbe fatto meno male quel giorno. È stata dura, davvero. Ma ne è valsa la pena, eccome. E forse nel mio modo di giocare c’era il segno di quella fatica. E anche il fatto che oggi sia così sereno, a posto con la mia coscienza e il mio passato, felice di quello che provo, forse ha le sue radici nella sofferenza e nella lotta per vincerla».

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