Accadde oggi, il 9 luglio 2006 l’Italia vince il suo quarto mondiale: cos’è cambiato da allora

Diciotto anni fa la Nazionale Italiana vinceva il quarto mondiale della sua storia. Una rosa impeccabile, un cammino storico che riportò il massimo trofeo internazionale nel Bel Paese a 24 anni di distanza dal 1982. Dodici reti segnati, solo due quelle subite: un autogol e un rigore. Un’abbondanza tecnica a disposizione del CT Lippi che si estendeva a tutti i reparti del campo.

I più parlano di un destino segnato, doveva andare così. Eppure quell’Italia si trovò ad affrontare una finale tostissima, con una Francia di pari livello, ma a cui probabilmente la dea bendata aveva deciso di voltare le spalle. 1-1 il risultato alla fine dei tempi regolamentari, stesso scenario anche dopo i supplementari. Quattro i rigori trasformati dai francesi, l’unica sbavatura la traversa di David Trezeguet. Quattro su cinque. Eppure l’Italia riuscì a fare di meglio.

Il quintetto scelto da Lippi stupiva per l’ultimo anello, Fabio Grosso. L’eroe di Dortmund, il più inaspettato e, probabilmente per quello, ritenuto meno adatto, un rischio. Si trattava pur sempre della finale dei campionati del mondo… La tensione era palpabile, un errore avrebbe condannato l’Italia a proseguire a oltranza. Il portiere avversario capì il momento e tentò un disperato tentativo di ipnosi ai danni del numero 3 azzurro che, però, era già pronto all’appuntamento con la gloria. L’ultimo sguardo al cielo, l’aria che va dai polmoni verso l’infuori. L’immagine più celebre di tutta Germania 2006. Grosso calcia, il resto è storia.

Diciotto anni dopo, il volto della Nazionale è parecchio mutato, gli animi pure. Basti pensare che la storica finale di Berlino è stata l’ultima partita a eliminazione diretta disputata dagli azzurri in una competizione mondiale.

Solo due le comparse ai Mondiali da allora, altrettante le pesanti e inaccettabili assenze. Approdata da Campione in carica nel 2010, il cammino dell’Italia si concluse tra lo sconcerto già ai gironi il 24 giugno. Esattamente quattro anni dopo, nella stessa data, medesimo fu anche il destino degli azzurri che, per la seconda volta consecutiva, non si qualificarono alle fasi a eliminazione diretta. La delusione fu cocente, ma il tifoso azzurro non poteva immaginare che il peggio dovesse ancora arrivare. Negli anni seguenti, per ben due volte, la Nazionale toccò, infatti, il momento più buio della sua storia, non arrivando nemmeno a disputare i successivi campionati del mondo. Decisive, e ancora impresse nella memoria di un paese intero, le sfide contro Svezia e Macedonia del Nord.

Ma cos’è cambiato da allora? Eccezion fatta per la vittoria degli Europei nel 2021, nessuna delle versioni dell’Italia susseguitesi in questi diciotto anni ha impressionato in positivo. E seppur consapevoli che l’assoluto livello di grazia della Nazionale del 2006 sarà difficilmente replicabile, la qualità di certo non mancava neanche a molti degli interpreti chiamati a onorare la causa azzurra in questi anni.

Che ci voglia tempo per costruire un ciclo è inevitabile e, sicuramente, i numerosi cambi di rosa tra un biennio e l’altro hanno contribuito all’insuccesso degli azzurri nelle competizioni internazionali. La Nazionale di Euro 2024 ne è un perfetto esempio. Tanta qualità dei singoli, scarsa sintonia in campo. Che unita alla poca esperienza di molti degli interpreti chiamati da Spalletti si è rivelata fatale. A questo bisogna poi sicuramente aggiungere il maggiore livello tecnico degli avversari, profondamente rafforzati sia in termini numerici che di espressione e qualità di gioco. Rispetto al 2006, sono infatti emerse tante “nuove” nazionali di livello medio-alto, che hanno stupito rovesciando in diverse occasioni i pronostici del caso.

Tirando le somme, il lavoro è lungo, la rivoluzione sempre più necessaria. Soprattutto dal momento che i prossimi mondiali sono in programma tra due anni e c’è una qualificazione da conquistare. La sfida per Spalletti è delle più ardue, recuperare l’entusiasmo perso e ritrovare la mentalità vincente. I problemi sono tanti, ma di certo dare tempo a una squadra di abituarsi al gioco congiunto deve essere la base.

In ballo l’attesa di un paese intero. Ferito, deluso, ma se possibile sempre più innamorato.

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