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Italia, dramma sportivo: quando la magia si scontra con la realtà

La Nazionale Italiana non parteciperà ai Mondiali di calcio in Qatar, eliminati dalla piccola ma immensa Macedonia del Nord. La magia della scorsa estate è già svanita. Seconda volta consecutiva senza mondiali, il dramma è compiuto

Immaginate una notte d’estate, l’Italia intera davanti alle televisioni. Le strade deserte e i cuori a mille. L’amico e l’amica di una vita al tuo fianco, il silenzio e la tensione. Uno sguardo spaventato fuori dalla finestra e la paura di dover tornare a dormire senza mangiarsi la notte. Il calcio è questione di attimi e di millimetri, lo sappiamo tutti. Il calcio è fatto di momenti, come l’11 luglio 2021, esattamente 8 mesi fa. Era Wembley, era la finale degli Europei. Era Italia contro Inghilterra in casa loro. Le lancette dell’orologio delimitavano la mezzanotte circa, come nelle favole, quando Gigio Donnarumma si tuffa alla sua sinistra e para il rigore a Saka, poi un attimo, ancora loro, ancora i momenti a farla da padrona, quelli che bastano a Donnarumma e a una nazione intera per realizzare che siamo campioni d’Europa per la seconda volta nella nostra storia, L’Italia è campione d’Europa 53 anni dopo. La paura che si è trasformata in gioia e festa sfrenata. Ecco il calcio: una storia di momenti, di attimi e di magia. Quella stessa magia che il Dio do futebol ha utilizzato tante volte dalla nascita di questo sport, ma che il calcio stesso sa stregare. Perché si, la magia nel calcio esiste, ma va accolta, custodita gelosamente e sviluppata. Perché il calcio sa anche essere matematica, precisione, scienza. Realtà. Ieri la magia è svanita, la Nazionale ha dovuto fare i conti con la realtà, una realtà che non la vedrà nei prossimi mondiali di calcio, in Qatar.

L’Italia è fuori dai Mondiali di calcio per la seconda volta consecutiva, non era mai successo prima

La drammaticità dell’intera partita si può riassumere in pochi secondi, dalla rimessa in gioco dell’estremo difensore della Macedonia del Nord un minuto e mezzo dopo il 90esimo. Miovski supera di testa Bastoni, la palla finisce sui piedi di Trajkovski che dai 30 metri stoppa indisturbato in mezzo a Jorginho (che si limita a richiamare l’arbitro per un tocco di mano inesistente del macedone) e Florenzi che si allarga per seguire una sovrapposizione, Chiellini è troppo lontano ed Emerson non interviene. L’attaccante macedone si gira e calcia. Donnarumma leggermente fuori viene battuto. La Macedonia del Nord espugna il Renzo Barbera di Palermo e va a giocarsi lo spareggio con il Portogallo.
Di chi sono le colpe della disfatta? Sono delle scelte tecniche? Forse si. Sono dell’estremo difensore azzurro? Forse si. Sono della poca capacità di incidere davanti? Forse si. Sono della poca lucidità nell’interrompere l’azione del gol macedone? forse si. Sono dell’intero sistema calcistico italiano? Si. Sono anche delle nostre illusioni? Si.

Bisogna dirlo, ieri nonostante i 32 tiri totali di cui 5 in porta della nostra nazionale contro i 4 totali di cui solamente 2 in porta della Macedonia del Nord, siamo usciti meritatamente. Perché abbiamo perso la cattiveria, perché non abbiamo rischiato nulla, perchè non abbiamo utilizzato dall’inizio i giovani e i calciatori più in forma del campionato, perché non abbiamo giocatori di rilievo, perché non abbiamo saputo sfruttare la magia e tenercela stretta nelle nostre maglie azzurre. Si siamo fuori e la Macedonia ha meritato di passare. Abbiamo fatto la storia in negativo, per la prima volta nella nostra storia non partecipiamo a due campionati del mondo consecutivi. E la prossima volta (se succederà) sarà dopo 12 anni dall’ultima partecipazione. Per arrivarci serve umiltà, serenità e autocritica.

Zero vittorie nelle ultime 5 partite decisive, un movimento che non guarda ai giovani, la paura di rischiare e la mancanza di campioni

Partiamo dal presupposto che forse questa gara non l’avremmo dovuta mai giocare. Ma è facile parlare con i se e con i forse. Il nostro post Europeo si è contornato di sfottò ai francesi e agli inglesi ricordandogli durante la Nation League che eravamo noi i campioni d’Europa ma nel frattempo dilagava la preoccupazione di una squadra stropicciata che è sembrata in difficoltà in un girone di qualificazione che alla vigilia sembrava abbordabilissimo.

Infatti nelle ultime 5 partite decisive per la qualificazione, non abbiamo mai vinto. Si è cominciato a settembre con l’1-1 in casa contro la Bulgaria, poi il doppio pareggio con la Svizzera e poi l’emblematica e preoccupante partita contro l’Iralanda del Nord finita 0-0 fino ad arrivare alla disfatta di ieri. 55 tiri nelle ultime 3 partite e solamente un gol realizzato. Il perché lo si può trovare inevitabilmente nel nostro attacco partendo da un’analisi: nessun attaccante della Nazionale gioca in una squadra che occupa le prime 6 posizioni del nostro campionato, a parte Insigne che però attaccante puro non è, a dimostrazione del fatto che le nostre squadre, soprattutto quelle più blasonate puntano esclusivamente su giocatori stranieri, che inevitabilmente si “fanno le ossa” nella nostra serie maggiore per poi cercare la gloria altrove. Il nostro miglior attaccante è Immobile che nonostante le sue 175 reti in Serie A e i 21 gol in questa stagione con la maglia della Lazio tocca appena 15 presenze in Champions League e, sebbene nella storia della nazionale ci sono stati esempi illustri di calciatori di squadre piccole che hanno portato ai grandi successi (vedi Grosso, Toni, Gigi Riva) non può essere lui a trascinare un’intera nazione. A questo va aggiunto il poco coraggio, quello del CT Mancini di non rischiare giocatori in grande forma come Scamacca (lasciato in tribuna), Tonali e Pellegrini (inserito solamente negli ultimi minuti) su tutti, il primo avrebbe sicuramente aiutato nel secondo tempo di ieri diversificando le offensive degli azzurri che avrebbero potuto buttare più palloni al centro dell’area, il secondo poteva giocare dall’inizio per un Barella in evidente calo fisico, mentre il capitano della Roma avrebbe dato inserimenti e qualità sulla trequarti. Invece si è deciso di ripiegare su Joao Perdro 30enne da poco naturalizzato italiano e capitano del Cagliari che è in piena lotta retrocessione e sulla formazione che ci ha portati sul tetto d’Europa, non considerando la forma attuale dei calciatori. L’alibi per il Commissario tecnico, che non può e non deve avere tutte le colpe, c’è ed è il fatto che non ci si è voluti fermare per dare il tempo materiale a Mancini di fare gruppo e provare i giocatori che non c’erano nella cavalcata estiva. La scena emblematica della partita di ieri è stato l’errore di Berardi nel primo tempo a porta vuota, sull’esterno calabrese c’è l’esempio materiale di un calciatore pronto già da tempo che non ha ancora fatto il salto di qualità rimanendo nella dimensione Sassuolo, senza cercare o essere cercato da squadre più blasonate. Non a caso a cercare di accendere la luce è stato Verratti l’unico che calca da anni palcoscenici importanti e Bastoni un giovane che gioca in una big del nostro campionato.

Poi c’è la questione economico-finanziaria che si mischia a quella tecnica: la squadra più rappresentativa del nostro campionato, la Juventus esce da 3 anni agli ottavi di finale di Champions League, l’Inter campione d’Italia in carica probabilmente è paragonabile ad una squadra da terzo/quarto posto nella Liga e in Premier, e il Milan capolista, ha un progetto totalmente nuovo e gioca con due attaccanti, nonché i due suoi giocatori migliori Ibrahimovic e Giroud che fanno circa 80 anni in due.

Non è certo facile parlare e scrivere a quasi 24 ore da una delle notti più tristi del calcio in Italia. Siamo l’unica squadra nella top 20 del Ranking a non partecipare sicuramente ai prossimi mondiali, la maledizione continua; non è un caso che dopo il 2006 (forse l’Italia più forte di sempre) abbiamo collezionato solamente delusioni: fuori ai gironi nel 2010 e nel 2014, e fuori dai Mondiali nel 2018 e nel 2022. Questo deve far riflettere, bisogna sedersi e pensare. Non c’è stato da quel 2006 il cambio generazionale che tutti predicavano, c’è bisogno di dare più valore ai giovani a partire dalle quote under nei campionati minori che non vanno assolutamente toccate, più strutture, più cultura calcistica e più coraggio, quello che forse ci è mancato, non nei campi da gioco, questo no, non possiamo dirlo, ma sicuramente in tutto ciò che circonda il mondo calcistico.

Adesso, se tutto va bene parteciperemo a un campionato del mondo 12 anni dopo l’ultima volta. Magari nel frattempo vinceremo un Europeo: la magia esiste, i miracoli succedono, ma bisogna aggiungere lavoro e pianificazione per darne continuità. La nostra storia lo merita, tutti noi lo meritiamo.
Oggi sediamoci in silenzio e riflettiamo. Le basi per rinascere ci sono. Torniamo con intelligenza a vivere le nostre notti magiche e colorare i cieli del mondo d’azzurro. Per ora guarderemo gli altri, e magari sarà la volta buona per prendere appunti.