Retegui e Charaabi, chi italiano subito e chi dopo anni. Dove sta “il giusto”?
Mateo Retegui è nato in Argentina, precisamente a San Fernando, non si era mai mosso dalla sua terra natale fino ad una settimana fa. L’Italia? L’aveva vista in “cartolina” o forse aveva ammirato le sue meraviglie scorrendo foto postate su Instagram o chissà su quale altro social network. In tre giorni però, il classe 1999, ha ottenuto la maglia della Nazionale italiana per via di un bisnonno, nativo di Canicattì, città in provincia di Agrigento, in Sicilia. 10.927 km a dividere Mateo dalle sue origini, un mondo inesplorato per lui. Egli è un calciatore, ha 23 anni, e anche se l’italiano non lo sa parlare e non lo capisce (ha iniziato solamente a canticchiare un po’ del nostro inno) è il centravanti titolare dell’Italia, e probabilmente l’attaccante su cui Mancini conterà per volare all’Europeo del 2024. Per “necessità” del mondo del calcio, e grazie a parte del suo sangue, in un lampo dunque, è diventato un nostro connazionale.
Ma quella che oggi vi vogliamo raccontare è la differenza con la storia di Sirine Charaabi, lei tira di boxe, oggi ha 23 anni ed ha portato al secondo posto di un Mondiale l’Italia concorrendo nella categoria 52kg, con quell’azzurro che dopo tanto tempo è riuscita ad indossare con grande orgoglio, perché lei si sente italiana. Ma facciamo un passo indietro, Sirine è nata in Tunisia, è arrivata da bambina a San Prisco, in provincia di Caserta, per raggiungere suo padre, precedentemente immigrato per lavoro. Lei ha un bellissimo accento casertano, ha frequentato per anni le nostre scuole ed ha l’Italia nel cuore. A 14 anni è stata chiamata in Nazionale ma a causa di una “stupida legge” non poteva rappresentarla in incontri ufficiali non essendo in possesso della cittadinanza. A 18 anni, la richiesta ufficiale, ma la burocrazia, si sa com’è. Ma Sirine Charaabi è una combattente, è una tosta, che non si arrende al primo ostacolo. Lanciò una petizione su Change.org ma la sua richiesta di ricevere la cittadinanza in tempi brevi per poter concorrere per l’Italia ai Mondiali in India, restò inascoltata. Nel 2018 raggiunse la finale del campionato italiano élite, ma ne uscì sconfitta, nel 2021 invece la vinse. Un titolo fondamentale perché fece “rispolverare” quella “maledetta” pratica impilata su chissà quale scrivania, e la settimana successiva, gli squillò il telefono. Rispose in malo modo, scocciata dall’essere tampinata dai giornalisti proprio su questo “tasto dolente”, ma dall’altro lato della cornetta questa volta c’è la Prefettura di Caserta, che le annuncia la notifica della cittadinanza. Un lungo e tortuoso percorso dunque per la ragazza di origini tunisine, con la grandissima voglia di cucirsi sul petto la nazione che l’ha accolta, quella che chiama “casa”, l’Italia.
Tra Mateo e Sirine, una differenza abissale. Il motivo? Una legge vecchia ed ingiusta, il primo ha potuto puntare sul “veloce” Ius Sanguinis, e poi il secondo caso, la negazione rappresentata con lo Ius Soli, come se essere stati tanti anni nel nostro territorio, parlare la nostra stessa lingua, abbracciare la nostra cultura, non contasse niente. Una legge quest’ultima dunque, non più al passo con i nostri tempi, che penalizza il futuro di tanti giovani, come quello di questa sportiva, che si è battuta per anni, per concorrere sotto la nostra bandiera tricolore.